Uragani e Farfalle

Storie brevi e fotografie


Ritorno al Parco dei Sogni

Nel 1999 il disco “Il Parco dei Sogni” è entrato nella mia vita come un fulmine a ciel sereno: è un concept album di Francesca Chiara, le cui canzoni sono legate una dopo l’altra in un’opera che racconta la storia di un parco quasi magico e delle persone che lo popolano, con atmosfere e suggestioni che sembrano sospese tra realtà e fantasia. 

Quel disco mi conquistò completamente, al punto che mi ispirò a scrivere un racconto. Era una sorta di seguito della storia narrata nel disco, un modo tutto mio per prolungare quella magia. Quel racconto è rimasto nascosto per anni. 

Lo feci leggere solo a pochissime persone, un po’ per vergogna, un po’ perché mostrava un lato molto intimo e sensibile di me che non ero pronto a condividere. Alla fine finì in qualche vecchio hard disk, abbandonato a un destino che sembrava segnato: scomparire nel tempo, dimenticato nella memoria digitale.  

Nelle ultime settimane però è successo qualcosa di strano. Frugando tra vecchie cartelle ho ritrovato quel racconto. Rileggerlo è stato come fare un tuffo nel passato: c’erano mille errori, certo, ma c’era anche quell’emozione pura che mi aveva spinto a scriverlo. Non potevo ignorarlo. Era il momento di riprenderlo in mano e sistemarlo, di farlo rivivere. 

E poi, quasi come se il Parco avesse deciso di mandarmi un segnale, è arrivata un’altra sorpresa: Francesca Chiara ha annunciato che Il Parco dei Sogni tornerà “in vita”, circa 25 anni dopo la sua uscita. Che cosa incredibile! Ho sempre creduto nella magia racchiusa in quel disco, e queste coincidenze sono troppo straordinarie per essere casuali.

Quindi ecco qui, ci siamo: il racconto è pronto per diventare anche vostro. Abbiatene cura.

PS: se siete curiosi di conoscere come la storia è iniziata potete leggere qui.


PROLOGO

Chiara camminava da sola lungo la riva del mare, il passo lento, quasi incerto, e lo sguardo velato di malinconia. La luce del tramonto accarezzava il suo viso, disegnando ombre delicate che si confondevano con le tracce delle lacrime appena asciugate. C’era una fragilità nel suo incedere, come se ogni passo le costasse uno sforzo, un combattimento silenzioso contro il peso di un dolore ancora fresco.

Il mare, calmo ma incessante, le sussurrava parole che sembravano risuonare solo per lei. Le onde si infrangevano dolcemente sulla sabbia, creando una schiuma bianca che sfumava rapidamente, quasi timida. Dietro di lei, le impronte dei suoi passi restavano visibili solo per un istante, prima che l’acqua le inghiottisse con la stessa premura con cui cancella un segreto. Pareva che il mare volesse proteggerla, celando il suo passaggio, come un custode silenzioso di quel momento sospeso.

Sulla battigia, disseminati come frammenti di una poesia spezzata, giacevano rami levigati dall’acqua e schegge di conchiglie. Ogni oggetto raccontava una storia, una battaglia tra mare e vento che sembrava eterna. Chiara si fermò accanto a uno di quei rami, il corpo avvolto dalla brezza salmastra, e si sedette con un lieve sospiro. Prese un piccolo bastoncino e iniziò a disegnare sulla sabbia, tracciando linee che non avevano uno scopo preciso, ma che sembravano un modo per liberarsi di un peso invisibile.

Di tanto in tanto, il suo sguardo si alzava verso l’orizzonte, dove cielo e mare si incontravano in un abbraccio infinito. C’era qualcosa di ipnotico in quel confine, come se potesse offrirle risposte che nemmeno lei sapeva di cercare. Eppure, ogni volta che i suoi occhi si perdevano in quel punto lontano, li abbassava subito dopo, quasi rassegnata. Tornava a fissare la sabbia, come se temesse ciò che avrebbe potuto trovare guardando troppo a lungo.

Fu allora che lo vide. Poco più avanti, adagiato sulla battigia come un dono lasciato dalle onde, c’era un piccolo quaderno logoro. Le sue pagine ingiallite, impregnate di salsedine, sembravano reclamare attenzione, come un segreto dimenticato. Chiara si avvicinò con cautela, quasi timorosa di spezzare l’incanto.

Si chinò e lo prese tra le mani, accarezzando la copertina rovinata. Nonostante il tempo e l’acqua avessero lasciato i loro segni, le parole incise sulla prima pagina erano ancora leggibili: “Sogni di nuvole…”.

Spinta dalla curiosità, cominciò a sfogliarlo. Le pagine raccontavano la storia di un ragazzo e del suo amore sconfinato per il mare, un sentimento così forte da spingerlo a sfidare tutto e tutti pur di inseguire i suoi sogni. Chiara lesse con attenzione, trattenendo il respiro ad ogni nuova frase, come se quelle parole fossero una finestra su un altro mondo.

Le emozioni si alternavano sul suo viso: stupore, nostalgia, un accenno di sorriso, e poi di nuovo malinconia. Quelle parole sembravano parlare direttamente a lei, risvegliando ricordi che pensava di aver dimenticato. Rivide se stessa in quel ragazzo, in quel coraggio quasi incosciente che un tempo la spingeva ad affrontare ogni difficoltà. Ma quel tempo le sembrava lontano, sfumato come le impronte che il mare cancellava dietro di lei.

Con un gesto lento, chiuse il quaderno e rimase a fissarlo tra le mani. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma questa volta non cercò di trattenerle. Un pianto silenzioso scese lungo le sue guance, misto a una dolcezza struggente. Quelle pagine le avevano ricordato una verità dimenticata: la forza di credere in qualcosa, anche quando tutto sembra perduto.

“Ci vuole davvero tanto coraggio… io riuscirò mai ad averne almeno la metà?” sussurrò, come se stesse parlando con il mare stesso.

Attorno a lei, il mondo sembrava sospeso. Le onde continuavano il loro ritmo eterno, il vento le scompigliava i capelli, ma Chiara era immersa in un altro tempo, in un altro luogo, persa tra le righe di quella storia e i suoi ricordi. Forse aveva trovato una risposta, o forse solo nuove domande. Ma in quel momento, il suo cuore sembrava meno pesante, come se una piccola scintilla si fosse accesa nel buio.


L’INIZIO

Era passato più di un anno dalla sua avventura con la vecchia signora, e Chiara aveva quasi dimenticato le emozioni vissute quel giorno. La vita aveva proseguito il suo corso, portandola lontano da quel parco e dal vecchio cancello verde, corroso dalla ruggine, che un tempo sembrava un portale verso un mondo diverso. Ve lo ricordate? Quel parco pieno di alberi maestosi che si stagliavano contro il cielo come giganti silenziosi, con i loro rami che si intrecciavano creando un tetto di foglie sotto cui si rifugiavano risate, confidenze e sogni? Un tempo, quel luogo era stato per Chiara e le sue amiche un rifugio, un microcosmo in cui tutto sembrava possibile.

Ora, però, le cose erano cambiate. Le amicizie che una volta sembravano indissolubili si erano lentamente sfilacciate, come un tessuto logorato dal tempo e dalle circostanze. Ognuna aveva preso la propria strada: c’era chi si era immersa negli studi, chi lottava per costruirsi una carriera e chi, invece, preferiva vivere giorno per giorno, senza pianificare nulla. Chiara sentiva la mancanza di quelle giornate spensierate, ma non si soffermava troppo su quel pensiero. Aveva accettato il cambiamento, anche se ogni tanto, in momenti di quiete, sentiva una lieve stretta al cuore.

Lei, dal canto suo, aveva proseguito gli studi con impegno, ma non aveva rinunciato alla sua passione per la musica. Era l’unica costante della sua vita, l’unico spazio in cui si sentiva davvero se stessa. Suonava con il suo gruppo nei locali, e ogni esibizione era una piccola avventura: una serata fatta di note, di volti nuovi, di connessioni che andavano oltre le parole. La musica era un linguaggio universale che le permetteva di entrare in contatto con persone autentiche, lontane dalla superficialità che spesso percepiva attorno a sé.

Fu proprio grazie alla musica che conobbe Marco. Si erano incontrati una sera, dopo un concerto, mentre riponeva la sua chitarra nella custodia. Marco, anche lui musicista, si era avvicinato con un sorriso aperto e un complimento sincero sul suo modo di suonare. Avevano cominciato a parlare, e subito si era creata una sintonia naturale, come se si conoscessero da sempre. Marco era solare, diretto, e aveva un entusiasmo contagioso che metteva Chiara a proprio agio.

Tra di loro c’era un’amicizia semplice e spontanea. Chiara si sentiva libera di essere se stessa con lui, senza paura di essere giudicata o fraintesa. Con Marco poteva parlare di tutto: della musica, dei sogni, delle delusioni, perfino delle sue insicurezze più profonde. Lui ascoltava con attenzione, offrendo consigli quando servivano, ma senza mai forzare nulla. Era una presenza discreta ma costante, un porto sicuro in mezzo alla confusione della vita quotidiana.

Eppure, nonostante la loro complicità, Chiara sapeva di non essere pronta per qualcosa di più. Dopo le delusioni passate, aveva imparato a proteggersi. Aveva paura di lasciarsi andare, di abbassare le difese e rischiare di soffrire di nuovo. Marco sembrava capire questo suo bisogno di spazio e non insisteva mai. Forse proprio per questo Chiara si sentiva così serena accanto a lui: non c’erano aspettative, solo un rapporto genuino, fatto di piccoli momenti condivisi.

Eppure, ogni tanto, quando lo osservava mentre parlava con la sua passione tipica, o quando lo ascoltava suonare con quella dedizione che lo rendeva unico, Chiara si chiedeva se un giorno sarebbe stata capace di lasciar andare le sue paure. Ma quel giorno, per ora, le sembrava ancora lontano.

Un giorno, però, accadde qualcosa di strano.


CHE STRANO

Chiara e Marco erano seduti in un bar poco affollato, il profumo di caffè e dolci riempiva l’aria, mentre fuori la pioggia tamburellava lieve contro le vetrate. Stavano chiacchierando come sempre, scambiandosi battute leggere e riflessioni casuali, quando lo sguardo di Chiara sembrò perdersi nel vuoto. Aveva smesso di ascoltare, i suoi occhi erano fissi su un punto della sala.

Marco si voltò per seguire la direzione del suo sguardo. A qualche tavolo di distanza, un ragazzo sorseggiava una cioccolata calda. Aveva l’aria assorta, quasi distratta, ma Marco non capì cosa ci fosse di così interessante in lui. Poi notò la ragazza: era nascosta nell’ombra, accanto al bancone, e fissava il giovane con un misto di timore e desiderio.

Chiara sembrava ipnotizzata da quella scena. Era evidente che la ragazza voleva avvicinarsi, ma ogni volta che accennava a fare un passo verso di lui, si bloccava. Era come se una forza invisibile la trattenesse, rendendola prigioniera delle sue paure.

“Che fai?” bisbigliò Marco, cercando di riportarla alla conversazione.

Chiara non rispose. Fu in quel momento che accadde qualcosa.

Il ragazzo si voltò, quasi fosse stato richiamato da un’intuizione inspiegabile. I suoi occhi incontrarono quelli della ragazza. Per un attimo il tempo sembrò fermarsi, il rumore del bar sfumò in un silenzio irreale. C’era qualcosa di potente in quello sguardo, un’intesa spontanea, come se i due si conoscessero da sempre, anche se non si erano mai visti prima. Che strano…

Chiara avvertì un nodo allo stomaco. Una lacrima scese silenziosa lungo il suo viso.

“Va tutto bene?” chiese Marco, preoccupato, sporgendosi verso di lei.

“Sì, sì… scusa,” rispose, asciugandosi la lacrima in fretta. “È solo che quei due mi ricordano una storia che avevo dimenticato…”

Marco la fissò con curiosità. “Che storia?”

Chiara rimase in silenzio per un istante. Poi abbassò lo sguardo sulla sua tazza di caffè e cominciò a raccontare, la voce lieve, ma carica di emozione.

“La storia di Luca e Sara…” iniziò. “Era una storia d’amore, ma anche di dolore. Si sono conosciuti con uno sguardo, proprio come quei due ragazzi, ed è stato come se tutto il mondo sparisse. Ma il loro amore era complicato fin dall’inizio.”

Marco ascoltava senza interrompere, i suoi occhi incollati a Chiara.

“Luca era più grande di lei,” continuò, “e viveva in una città lontana. La gente parlava, li giudicava. Dicevano che non poteva funzionare, che Sara era solo una ragazzina con la testa piena di sogni. Ma lei non voleva ascoltare nessuno. Amava Luca, e lui la amava a modo suo, anche se non sempre riusciva a dimostrarlo.”

Chiara si fermò per un istante, stringendo la tazza tra le mani, come a cercare conforto.

“Luca era fragile,” disse poi, la voce incrinata. “Aveva un lato oscuro che Sara faceva finta di non vedere. Nei momenti difficili si rifugiava nella ‘polvere magica’, come la chiamava lui. Un amico gliela procurava, e Luca diceva che lo aiutava a scappare dai suoi pensieri. Ma quella polvere lo stava distruggendo, giorno dopo giorno.”

Marco trattenne il respiro, percependo la profondità del dolore nelle parole di Chiara.

“Sara gli stava accanto, sperando di poterlo salvare. Ma non si può salvare qualcuno che non vuole salvarsi da solo,” continuò Chiara, con una nota di amarezza. “Un giorno Luca non ce l’ha più fatta. Se n’è andato, lasciando Sara con un dolore che nessuno poteva capire. Lei continuò a vivere, ma qualcosa dentro di lei si era spezzato per sempre. Ogni giorno andava a trovarlo al cimitero, portava un fiore e parlava con lui come se fosse ancora lì. Portava al collo una catenina che le aveva regalato, l’ultimo ricordo di un amore che non aveva avuto il tempo di diventare ciò che avrebbe potuto essere.”

Quando Chiara finì di parlare, il silenzio si posò su di loro come un velo. Marco la guardava con occhi colmi di tristezza e stupore.

“È una storia terribile… e bellissima allo stesso tempo,” disse infine. “Ma perché non me l’avevi mai raccontata?”

“Non lo so,” rispose Chiara, con un leggero sorriso malinconico. “Forse perché l’avevo nascosta in un angolo della mente, sperando di dimenticarla. Ma oggi… quei due ragazzi mi hanno fatto ricordare tutto.”

Osservarono in silenzio mentre il ragazzo e la ragazza, dopo un attimo di esitazione, si avvicinavano l’uno all’altra. Un breve scambio di parole, un sorriso timido, e poi uscirono insieme dal bar, mano nella mano.

“Beh,” disse Marco, con un sorriso accennato, “spero che per loro il finale sia migliore.”

Chiara annuì, fissando il vuoto. Nel profondo del suo cuore, sperava lo stesso.


MARCO

Chiara e Marco uscivano spesso insieme, come due anime complici in un mondo che sembrava troppo stretto per contenerli. Le loro lunghe passeggiate tra i vicoli della città erano più di un semplice passatempo: erano una fuga, un rituale silenzioso che li legava. Di notte, quei vicoli sembravano pulsare di vita propria. Le luci soffuse dei lampioni proiettavano ombre irregolari sui muri scrostati, mentre il rumore dei loro passi risuonava come un’eco intima, familiare.

Erano quei momenti che Chiara amava di più. Con Marco accanto, il resto del mondo sembrava dissolversi, lasciando spazio solo a loro due. Ridevano senza motivo, inventavano storie sui passanti che incontravano, si fermavano ad ammirare i dettagli più insignificanti: una vecchia insegna sbiadita, una finestra illuminata, un gatto randagio che li osservava con aria curiosa. La città, di notte, si trasformava in un teatro magico, e loro ne erano i protagonisti.

Ma non erano solo le risate a unire Chiara e Marco. Condividevano una passione profonda per la fotografia. Ogni vicolo, ogni angolo sembrava gridare per essere immortalato. Le loro foto erano come pezzi di un diario segreto, frammenti di emozioni catturati in bianco e nero. Marco preferiva scatti dettagliati, immagini nitide che raccontassero storie precise. Chiara, invece, amava l’imperfezione: una luce sfocata, un’ombra che sembrava muoversi. Diceva che quelle imperfezioni rendevano le foto più vere, più vive.

“Ogni immagine è un po’ come noi,” gli aveva detto una volta, mentre osservavano uno scatto particolarmente sfocato. “Bella, ma imperfetta.” Marco aveva sorriso, senza aggiungere nulla.

Tuttavia, non tutto era sempre magico. A volte, durante le loro passeggiate, si imbattevano in volti minacciosi, figure che emergevano dall’ombra con sguardi inquisitori. Chiara cercava di non dar peso a quegli incontri, scrollando le spalle con il suo solito atteggiamento spavaldo. Marco, però, sembrava preoccuparsi di più. “Dovremmo fare più attenzione,” le diceva. “Non siamo invincibili.”

Ma Chiara non era sempre la ragazza spavalda e luminosa che Marco vedeva di notte. C’erano giorni in cui il peso dei suoi pensieri la trascinava in un silenzio profondo. In quelle occasioni, si rifugiava nella sua stanza, isolandosi dal resto del mondo. Si sdraiava sul letto con le cuffie nelle orecchie, lasciando che la musica riempisse il vuoto dentro di lei.

Quelle ore erano strane, sospese. La musica sembrava trasportarla in un’altra dimensione, lontano dalla sua stanza e dalla città. A volte immaginava di volare sopra campi infiniti, altre volte di essere sommersa da un mare calmo, senza fondo. Ma il risveglio era sempre improvviso. Un rumore, un pensiero invadente, e tutto svaniva, lasciandola sola con il soffitto bianco sopra di lei e quel senso di vuoto che non la abbandonava mai del tutto.

Poi ci fu quella notte, e quel sogno insolito.


FARFALLE

Chiara si trovava in un prato infinito, verde e luminoso. Il vento accarezzava dolcemente l’erba, e le nuvole correvano veloci sopra di lei, come se avessero fretta di raggiungere un luogo lontano. Non c’erano rumori, solo un silenzio perfetto che sembrava avvolgerla come una coperta. Sdraiata sull’erba, si sentiva incredibilmente libera, come se tutti i pesi della sua vita fossero svaniti.

Due farfalle dai colori sgargianti svolazzavano davanti a lei, danzando tra i fiori. Le loro ali brillavano alla luce del sole, muovendosi in un ritmo ipnotico. Chiara le osservava, incantata. Era come se quelle creature giocassero solo per lei, invitandola a unirsi a loro. Quando una delle farfalle le sfiorò la mano, Chiara rise, sentendo un’inaspettata gioia crescere dentro di lei.

Poi le farfalle si posarono su una pagina di giornale abbandonata nell’erba. Con un battito d’ali, sparirono, lasciandola sola. Chiara si avvicinò al foglio, incuriosita. Lo sollevò, notando che era ingiallito e strappato ai bordi. Riconobbe subito l’articolo: era la notizia di due ragazzi scomparsi vicino al fiume.

Le tornò alla mente il nome della ragazza: Luce. “Poverina,” pensò. “Forse voleva scappare… o magari voleva chiudere per sempre con tutto.”

Distolta da quel pensiero, alzò lo sguardo e vide di nuovo le farfalle, sospese a mezz’aria, come ad aspettarla. Seguendole con gli occhi, Chiara scoppiò a ridere: “Chissà che sciocchezze sto pensando…” Ma una parte di lei non poteva fare a meno di sentirsi attratta da quella storia. Rimase immobile per qualche minuto, fissando il giornale, mentre nella sua mente riaffioravano ricordi confusi.

La ragazza scomparsa, Luce, le ricordava qualcuno. Sonia. Sì, Sonia, una vecchia conoscenza. Anche lei aveva vissuto momenti difficili, circondata da persone che non riuscivano a comprenderla. Sembrava una piccola farfalla smarrita, alla disperata ricerca di qualcosa che forse non sarebbe mai riuscita a trovare. Sonia aveva fatto una scelta estrema, una scelta da cui non si era voluta voltare indietro. Nessuno era riuscito a fermarla.

Chiara si accorse che i ricordi di Sonia e di quel giorno al parco tornavano nitidi, come se il tempo non fosse mai passato. Era quasi incredibile come fosse riuscita a dimenticare tutto per così tanto tempo. Ora, però, quelle immagini la travolgevano, spingendola a chiedersi perché il passato sembrava deciso a ripresentarsi proprio in quel momento.

Chiara si sentiva confusa. Ogni frammento di memoria che riaffiorava era come un pezzo di un puzzle che non riusciva a completare. Le sembrava di essere intrappolata in un intreccio tra presente e passato, senza sapere dove guardare. Forse doveva lasciare che le cose fluissero, che i ricordi facessero il loro corso. Forse, però, era giunto il momento di affrontarli. Ma per ora, Chiara non sapeva che fare. Restava lì, ferma, mentre nella sua mente le immagini di Sonia, del parco, delle farfalle continuavano a danzare, inafferrabili come un sogno.

La storia del parco che aveva cercato inconsciamente di seppellire riaffiorava, vivida e dolorosa. Era quasi incredibile pensare a quanto fosse riuscita a dimenticare. Come aveva potuto rimuovere quei momenti così intensi? E perché adesso, proprio ora, il passato stava tornando a bussare alla porta dei suoi pensieri?

Il senso di smarrimento la avvolse. C’era qualcosa di inesplicabile in quei ricordi, come se non appartenessero solo a lei, ma anche a qualcun altro che stava cercando di farsi sentire. Le emozioni si intrecciavano, confondendosi in un groviglio impossibile da districare. Perché il passato, che lei stessa aveva scelto di ignorare, si ostinava a riemergere? Che cosa voleva dirle?

Chiara si sentiva sopraffatta. Ogni risposta sembrava sfuggirle, lasciandola sola con domande che non osava formulare a voce alta. La confusione era totale, come un mare in tempesta da cui non riusciva a uscire. Si prese la testa tra le mani, cercando invano un appiglio, una direzione da seguire.

Forse, pensò, non c’era nulla da fare. Forse non avrebbe mai trovato un senso a tutto quello che stava accadendo. Ma dentro di sé sapeva che il passato non avrebbe smesso di inseguirla finché non avesse avuto il coraggio di affrontarlo. Chiara sospirò, guardando il vuoto davanti a sé. Per ora, non le restava altro che aspettare. Aspettare e lasciare che il tempo – o forse il suo stesso cuore – le indicasse la strada.

Era giunto il momento?


RITORNARE

La strada si stendeva davanti a lei, lunga e sconosciuta, come un ricordo che si rifiutava di emergere completamente. Ogni passo era un peso, un richiamo indistinto che Chiara non riusciva a ignorare, ma neppure a comprendere del tutto. I suoi piedi sembravano muoversi da soli, spinti da una forza invisibile. Il cuore le batteva forte, come se sapesse già quello che la mente non osava accettare.

La luce del tramonto tingeva tutto di un arancio cupo, quasi irreale, rendendo le ombre più lunghe, più profonde. Chiara avanzava lentamente, ogni passo un confronto con il passato che tentava disperatamente di mettere a fuoco. Poi lo vide.

Laggiù, in lontananza, il cancello.

Un tempo era stato un ingresso imponente, un portale verde che prometteva avventure e scoperte. Ora era solo un misero scheletro di ferro, corroso dal tempo e dall’abbandono. Le sue sbarre, una volta dritte e solide, erano piegate come ossa spezzate. Non era più verde, ma grigio, inghiottito dalla polvere e dalla ruggine. Chiara si fermò per un istante, fissandolo da lontano. Le sembrò di intravedere una forma familiare, come un’ombra che si muoveva appena oltre il cancello. Strizzò gli occhi, ma non c’era nulla.

Avanzò.

Oltre il cancello, i palazzi enormi erano ancora lì, grigi e minacciosi, come giganteschi monoliti che vegliavano su un mondo ormai spento. Le loro finestre scure sembravano occhi vuoti, che la osservavano dall’alto con indifferenza, o forse con un giudizio silenzioso. Chiara si avvicinò al cancello, esitante. Sentì il respiro farsi più corto, la gola chiudersi leggermente. Poi, senza permettersi di pensare troppo, allungò la mano e lo spinse.

Il cancello scricchiolò, emettendo un lamento metallico che sembrava un avvertimento.

Era dentro.

Si fermò. Per un attimo le sembrò di trattenere il respiro, come se qualcosa stesse per accadere. Attese. Ma non accadde nulla.

Si guardò intorno, confusa. Quei palazzi, quelle sagome fredde e immobili, erano le stesse di sempre, ma ora sembravano intrise di un vuoto insopportabile. Non c’erano più i colori, i profumi, le voci che ricordava. Nessun soffio di vento a scompigliarle i capelli, nessuna sensazione che le dicesse di appartenere a quel luogo.

Il parco sembrava morto.

L’altra volta era stato diverso. L’altra volta qualcosa era successo. Qualcosa di invisibile l’aveva accolta, abbracciata, portata altrove. Ora, invece, era sola. Terribilmente sola.

Chiara avanzò di qualche passo, i piedi pesanti come se calpestassero un terreno ostile. Sentiva il battito del cuore rimbombarle nelle orecchie, una martellata incessante che non riusciva a ignorare. Ogni cosa intorno a lei emanava un’energia opprimente, quasi ostile.

Si fermò di nuovo. Una brezza leggera le sfiorò il viso, ma non portava sollievo. Era fredda, tagliente, come un sussurro gelido che le scivolava sulla pelle. Chiara chiuse gli occhi, tentando di afferrare quel momento, di trovare un senso nel silenzio che la circondava. Ma c’era solo il vuoto. Solo il nulla.

Un senso di delusione la travolse. Sentì lo stomaco stringersi, come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. Perché era lì? Perché aveva sentito il bisogno di tornare, se tutto era rimasto uguale? E, soprattutto, perché nulla si muoveva? Era come se il luogo stesso la stesse rifiutando, come se avesse perso il diritto di appartenergli.

Un rumore improvviso la fece trasalire. Si voltò di scatto, trattenendo il respiro. Niente. Solo il suono del suo cuore che martellava, più forte, più veloce.

Chiara indietreggiò. Non riusciva a sopportare quel silenzio. Non riusciva a sopportare quella sensazione di abbandono, di fallimento. Con un ultimo sguardo al parco che un tempo aveva avuto vita, si voltò e corse via.

Correva come se quel nulla la stesse inseguendo, come se avesse braccia invisibili pronte ad afferrarla, a trascinarla di nuovo in quell’oscurità che non riusciva a spiegare. I suoi passi rimbombavano nell’aria immobile, il respiro affannoso si mescolava a un grido che non osava liberare.


FANTASMI

Quando arrivò a casa, il sollievo non arrivò. Si lasciò cadere sul letto, il corpo esausto, ma la mente in tumulto.

Si alzò, dirigendosi verso lo specchio. Aveva bisogno di vedersi, di capire se quella fuga aveva lasciato un segno. Quello che vide, però, non era ciò che si aspettava.

Un volto familiare, ma estraneo. Occhi gonfi, ma asciutti, come se avessero dimenticato come piangere. Chiara avvicinò la mano allo specchio, sfiorandolo. La superficie era fredda, ma sembrava vibrare, quasi viva. Un brivido le percorse la schiena.

Poi accadde qualcosa.

Il riflesso nello specchio non si mosse. Restò lì, immobile, ma diverso. Gli occhi del riflesso cominciarono a riempirsi di lacrime. Una dopo l’altra, silenziose, scivolavano lungo il volto del suo doppio. Chiara spalancò gli occhi, indietreggiando, ma il riflesso non smise di fissarla. La sua bocca si aprì in un grido silenzioso, un urlo che Chiara sentì esplodere dentro di sé, come un’ondata di panico che non poteva fermare.

Poi, senza preavviso, il vetro si frantumò.

I frammenti si sparpagliarono ovunque: sul pavimento, sui mobili, dentro di lei. Ovunque guardasse, vedeva piccoli riflessi, ognuno che la fissava con la stessa espressione di dolore e paura.

Chiara crollò sul letto, svuotata. Non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare. Voltò la testa verso la finestra. Fuori, la notte sembrava meno oscura. La luna piena splendeva alta nel cielo, gettando una luce argentea sulla stanza.

E in quella luce, Chiara trovò un piccolo sollievo. Più a destra, tre stelle brillavano nel cielo scuro. Una di esse sembrava più luminosa delle altre. Chiara le fissò a lungo, poi sorrise debolmente. 


OLTRE LE REGOLE

Quella notte, Chiara non riuscì a dormire. Il corpo era esausto, ogni muscolo sembrava chiedere tregua, ma la sua mente era un vortice, un turbine di pensieri che la trascinavano sempre più in profondità. Si sentiva intrappolata, incapace di spegnere quella tempesta interiore. Ogni volta che chiudeva gli occhi, l’immagine del cancello, dei palazzi grigi e del suo riflesso nello specchio tornava con una chiarezza insopportabile, come se quei ricordi volessero dirle qualcosa.

Si girava e rigirava nel letto, con il respiro che diventava sempre più corto e le lenzuola aggrovigliate intorno a lei come una rete da cui non riusciva a liberarsi. Ogni dettaglio di quella giornata si ripresentava con una forza dirompente: il cancello arrugginito, il silenzio opprimente del parco, quel senso di vuoto che l’aveva travolta. Cercava disperatamente di dare un senso a tutto ciò. Perché era tornata lì? Perché si era sentita così attratta da quel luogo? E perché, soprattutto, si era sentita respinta?

Le immagini si mescolavano ai ricordi del passato. La vecchia signora con i suoi occhi enigmatici, il muro della casa, il cancello verde di un tempo. Era come se ogni frammento si unisse per formare un mosaico incompleto, un disegno che Chiara non riusciva ancora a decifrare. Tutto appariva ora come un sogno lontano, offuscato, ma lei sapeva che era reale. Lo sentiva nel profondo, nel battito irregolare del cuore e nella pelle che ancora conservava il brivido di quel momento.

Poi, all’improvviso, un lampo.

Le tornarono alla mente le parole della vecchia signora: “Non si può rivivere ciò che si è già vissuto.”

Quelle parole risuonarono nella sua mente come un’eco infinita. Si sollevò leggermente sul letto, fissando il soffitto come se cercasse un punto fisso nel caos che la circondava. “Non si può rivivere ciò che si è già vissuto.” Era quello. Doveva essere quello. Forse era per questo che il parco l’aveva respinta.

La prima volta quel luogo era stato una porta, un passaggio verso qualcosa di sconosciuto, un mondo che non le apparteneva, ma che l’aveva accolta perché era ignara, una straniera pronta a esplorare. Quella volta, non sapeva cosa aspettarsi. Non aveva regole, né aspettative. Ora, però, conosceva quel mondo. Lo aveva già vissuto, toccato, respirato. E il parco, quel misterioso universo, sembrava averlo capito.

Chiara si rese conto che non era stata lei a cambiare, ma le regole. Non era più una viaggiatrice senza una meta, non era più una straniera. Quella porta che una volta si era spalancata ora si era chiusa, e lei non poteva più attraversarla. Il mistero era svanito, sostituito dalla consapevolezza.

Un senso di pace inaspettata la avvolse. Non era colpa sua. Non era un fallimento. Era semplicemente il corso naturale delle cose. Una legge invisibile che non poteva infrangere, ma che poteva accettare. Non era più questione di essere accolta o respinta: il gioco era finito, e non c’era più modo di rigiocarlo.

Si alzò lentamente dal letto. I piedi nudi trovarono il pavimento freddo, un contrasto netto con il calore del suo corpo. Si avvicinò alla finestra, spostando leggermente la tenda per guardare fuori. La notte sembrava calma, quasi immobile. La luna piena illuminava il cielo con una luce pallida, quasi irreale, e accanto a lei tre stelle brillavano con intensità.

Chiara le fissò a lungo. Una di esse sembrava più luminosa, quasi pulsante, come se le stesse mandando un messaggio. In quel momento, un pensiero le attraversò la mente, semplice ma chiaro. Non era necessario capire tutto subito. Non era necessario avere tutte le risposte.

Sorrise debolmente, sentendo un piccolo frammento di serenità scivolare dentro di lei.

Il giorno seguente avrebbe portato Marco. Forse lui, con il suo sguardo nuovo e privo di pregiudizi, sarebbe riuscito a vedere ciò che lei non poteva più scorgere. Forse, attraverso i suoi occhi, avrebbe ritrovato quel mistero che le era ormai precluso.

Con quella decisione, Chiara tornò verso il letto. Si sdraiò, lasciando che il respiro si calmasse. Non sapeva cosa sarebbe successo il giorno dopo, ma per la prima volta da tempo si concesse di chiudere gli occhi e lasciarsi andare.

E quella notte, finalmente, trovò un po’ di quiete.


SIMONE

“Vieni con me, Marco!”

“Dove mi porti?”

“Zitto! Non fare domande prima di essere arrivati,” rispose Chiara con un tono deciso, ma con una leggera incrinatura nella voce, come se quella fermezza fosse una fragile maschera.

Camminavano fianco a fianco, in un silenzio pesante. Marco ogni tanto la osservava di nascosto, incuriosito, ma non disse nulla. Chiara non gli aveva spiegato nulla, ma il suo passo rapido e la tensione che traspariva da ogni suo gesto gli suggerivano che qualunque cosa stesse accadendo, per lei era importante.

Chiara non era sicura di cosa stesse facendo. Ogni passo sembrava più incerto del precedente. La sua mente era un turbine di dubbi: E se non funziona? E se Marco non riesce a vedere? E se fosse stata solo un’illusione, un sogno? Ma sotto quella coltre di incertezza, una scintilla di speranza ardeva ancora. La stessa speranza che l’aveva portata lì la prima volta.

Arrivarono davanti al cancello, e Chiara si fermò di colpo, come se un filo invisibile l’avesse tirata indietro. Marco si voltò verso di lei, scrutandola con aria interrogativa.

“Beh, e adesso?!” chiese, sollevando le sopracciglia.

Chiara prese un respiro profondo. Era arrivato il momento.

“Allora… ti devo raccontare una cosa. Una storia… tutta la storia, nei minimi dettagli. Devi ascoltarmi con attenzione,” disse, fissandolo negli occhi con un’intensità tale che Marco si irrigidì.

“So che ti sembrerà strano, fuori dal comune… forse persino assurdo. Ma ti prego, Marco, non pensare troppo razionalmente. Lasciati guidare dalle emozioni, va bene?”

Marco sospirò e si appoggiò al cancello, passandosi una mano tra i capelli. “Ok, Chiara… ma detto così mi stai facendo venire i brividi.”

“Non preoccuparti,” cercò di rassicurarlo con un sorriso che non raggiunse i suoi occhi. Poi indicò il bordo del marciapiede. “Siediti qui un attimo. E, per favore, chiudi gli occhi.”

Marco la guardò perplesso, ma l’espressione sul volto di Chiara era seria, quasi solenne. Non era il momento di fare domande. Con un sospiro esitante, si abbassò e si sedette accanto a lei, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

“Chiudi gli occhi,” ripeté lei.

Marco obbedì, chiudendo lentamente le palpebre. La sua espressione si fece più rilassata, ma un leggero fremito tradiva la sua curiosità.

Chiara restò immobile per un attimo, fissandolo. Sentiva il cuore batterle forte nel petto, e le mani le tremavano leggermente. Poi inspirò a fondo e cominciò.

Parlò con voce sommessa, quasi un sussurro, come se temesse che il vento potesse portare via le sue parole. Gli raccontò tutto: il primo incontro con il cancello, il senso di meraviglia e paura che l’aveva avvolta quella prima volta. Gli narrò della vecchia signora, della sua voce misteriosa e delle parole che non aveva compreso subito.

Poi, con il nodo in gola che si stringeva, passò al parco. Gli raccontò cosa aveva visto, cosa aveva provato, come ogni cosa le fosse sembrata viva e magica, e di come quel mondo si fosse chiuso dietro di lei quando aveva provato a tornarci. Marco non diceva nulla, ma lei poteva percepire il suo respiro regolare e il lieve movimento delle sopracciglia, come se stesse immaginando ogni dettaglio.

Chiara esitò un momento. Arrivava la parte più difficile. Si passò una mano sul viso, cercando di raccogliere il coraggio per continuare.

“E poi…” iniziò, la voce spezzata. “E poi c’è stato Simone.”

Le parole uscirono lentamente, come se fossero intrappolate in un vortice di emozioni. Gli raccontò di quel giorno, di come tutto fosse iniziato con lui. Le sue parole erano interrotte da brevi silenzi, ma ogni frase trasudava emozione. Marco non si mosse, ma percepì il cambiamento nel tono della sua voce, e un’espressione preoccupata si dipinse sul suo volto.

Chiara cercò di continuare, ma sentì le lacrime gonfiarsi negli occhi. Non voleva piangere, non davanti a Marco. Ma era inutile. Una lacrima le scivolò lungo la guancia, seguita da un’altra.

Marco, con gli occhi ancora chiusi, sembrò percepire il suo turbamento. La sua voce si abbassò, piena di delicatezza.

“Chiara… stai bene?”

Lei non rispose subito. Cercava di riprendere il controllo, ma il peso di quei ricordi era troppo grande. Alla fine, scosse la testa.

“No, Marco,” sussurrò. “Non sto bene.”

Il silenzio calò tra loro, pesante, carico di emozione. Marco aprì lentamente gli occhi e la guardò. I suoi occhi cercarono i suoi, e ciò che vide lo lasciò senza parole. Chiara non era mai stata così vulnerabile, così trasparente.

Lui fece un piccolo gesto, avvicinando la mano per sfiorarle la spalla, ma poi si fermò, rispettando il suo spazio. “Puoi dirmi tutto, Chiara,” disse piano. “Io sono qui.”

Quelle parole, semplici e sincere, le diedero la forza di continuare. Chiara respirò profondamente e riprese a parlare, decisa a portare fino in fondo quel racconto.

Non sapeva se Marco avrebbe capito, se avrebbe creduto a tutto ciò che aveva vissuto. Ma in quel momento, per la prima volta, si sentì meno sola.


IL PARCO 24 ORE PRIMA

10 aprile 2019, ore 9:17

“Non è sempre tutto come sembra, ogni cosa ha un passato e un futuro e racchiude l’energia di tanto tempo!” gridò Chiara, scattando in piedi come se qualcosa di invisibile l’avesse scossa.

Il suono delle sue parole risuonò nell’aula, fermandosi a mezz’aria. Un silenzio surreale avvolse la stanza, spezzato solo dal lieve rumore delle penne che si fermavano sui quaderni e dal fruscio di qualcuno che si voltava verso di lei.

“Oddio… cosa mi sta succedendo?” sussurrò Chiara, guardandosi intorno con gli occhi spalancati, come se vedesse il mondo per la prima volta.

La classe la fissava incredula. Alice, la sua compagna di banco, cercò di sdrammatizzare con una risatina nervosa. “Si è addormentata di nuovo! Chiara, non cambi mai, eh? Sveglia, siamo in classe, c’è lezione!”

Ma quella volta non era come le altre. Non era uno scherzo, né una distrazione. Chiara sentiva qualcosa dentro di sé che non riusciva a spiegare. Un peso, un’energia strana che non apparteneva a quel momento, a quella realtà.

Anche la professoressa non sembrava divertita. I suoi occhi erano freddi, severi, ma prima che potesse dire qualcosa, Chiara si alzò di scatto, sussurrò un “Mi scusi” quasi impercettibile e uscì dall’aula correndo.

Il corridoio era lungo, silenzioso, illuminato dalla luce bianca e asettica del mattino. Chiara si fermò vicino a una finestra, appoggiando le mani al davanzale. Respirava a fatica, come se qualcosa l’avesse colpita al petto. Il cuore le martellava nelle orecchie, e il mondo sembrava sfocato.

“Chiara, aspetta!”

La voce di Simone la raggiunse, accompagnata dal suono rapido dei suoi passi. Era stato l’unico a seguirla. Il ragazzo si fermò accanto a lei, scrutandola con preoccupazione.

“Che ti è successo? Sembravi in trance… ti sei svegliata di colpo e hai detto quella frase… sembravi fuori di te!”

Chiara chiuse gli occhi per un istante, cercando di mettere ordine nella mente. Ma era impossibile. Quelle parole continuavano a risuonarle dentro, come un eco lontano e irraggiungibile.

“Non lo so, Simone,” mormorò, stringendosi le braccia attorno al corpo. “Era come… un flash. Un sogno, ma più reale di qualsiasi altra cosa. C’erano immagini, sensazioni… qualcosa di magico, capisci? Qualcosa che non riesco a spiegare.”

Simone si avvicinò di più, abbassandosi leggermente per incontrare il suo sguardo. “Cosa hai visto, Chiara?”

Lei esitò, poi scosse la testa. “Non lo so. Non tutto, almeno. Ma ricordo quella frase. E c’era una sensazione… come se fossi collegata a qualcosa di più grande, più antico. Era così vivido che…”

La voce le si spezzò. Chiara si strinse ancora di più, come a proteggersi da un freddo invisibile.

Simone la osservò, preoccupato, ma non volle forzarla. “Forse hai solo bisogno di riposarti,” disse piano. “Ti accompagno a casa.”

Lei lo guardò, sorpresa. “Non devi farlo, Simone. Sto bene, davvero.”

“Chiara…” disse lui, con un sorriso leggero. “Tu ed io ci conosciamo da sempre. Quando dici che stai bene con quella voce tremante, so che stai mentendo. Andiamo, prendi la giacca.”

Simone non esitò nemmeno un istante. Tra loro c’era qualcosa di raro, un’amicizia autentica. Nonostante molti li prendessero per una coppia, la verità era che erano legati da qualcosa di ancora più profondo. Simone era un’anima complessa, un ragazzo lunatico e appassionato di arte in ogni sua forma, sempre disposto a fare qualsiasi cosa per Chiara. E lei avrebbe fatto lo stesso per lui.

Ma ciò che li univa davvero era la capacità di emozionarsi insieme, di condividere sensazioni e pensieri che andavano oltre le parole. Simone aveva un dono: riusciva a trasmettere le sue emozioni in modo così intenso che Chiara, ogni volta, si sentiva trasformata.

Non c’è niente di più potente delle emozioni. Sono ovunque, nascoste in ogni istante. Un gesto, un suono, un’immagine. È un’arte sottile, quella di saper emozionare gli altri. E Simone lo sapeva bene. Spesso rifletteva su quanto fosse straordinario poter far vibrare il cuore di qualcuno, semplicemente con un piccolo gesto, una poesia, una canzone.

Mentre uscivano insieme dalla scuola, Simone cercava di alleggerire l’atmosfera, parlando del nulla, cercando di strapparle un sorriso. Chiara lo ascoltava, ma una parte della sua mente era ancora immersa in quel flash. Quelle parole, quell’energia, sembravano un enigma da risolvere.

Ma c’era una cosa che Simone non sapeva.

Chiara non aveva semplicemente “visto” qualcosa in quel sogno. Aveva sentito una voce, una presenza che sembrava chiamarla. Era un richiamo antico, profondo, che non poteva ignorare.

E quella sensazione non l’avrebbe più lasciata andare.


STREGHE

Era un periodo difficile, soprattutto per Simone. Il peso dei pregiudizi, dell’ipocrisia che vedeva ovunque, lo stava lentamente consumando. Era come camminare con un masso legato al petto, ogni passo più faticoso del precedente. Nonostante la giovane età – aveva solo vent’anni – Simone si sentiva vecchio, stanco, disilluso.

Il suo cuore era un tumulto di emozioni che raramente riusciva a esprimere, ma quella sera, sotto il cielo scuro punteggiato di stelle, non riuscì più a trattenersi.

“Chiara…” iniziò, la voce un filo rotto di emozione. “Se penso che questa sarà la mia vita, non so se ce la farò. Non so se ho la forza di andare avanti. Mi capisci?”

Chiara lo guardò con attenzione, il viso illuminato dalla luce morbida di un lampione. Nei suoi occhi c’era un misto di dolore e determinazione. Lo capiva, eccome. Ma dentro di lei batteva un cuore diverso, un cuore che non si arrendeva mai.

Mentre Simone vedeva ombre ovunque, Chiara vedeva spiragli di luce. Dove lui percepiva il peso delle ingiustizie e delle aspettative, lei coglieva la possibilità di combatterle, di trasformarle in qualcosa di nuovo. Non era più forte di lui, non davvero, ma aveva imparato a usare il dolore come una leva per sollevarsi, anziché lasciarsi schiacciare.

“Ti capisco, Simone. Più di quanto immagini,” disse, avvicinandosi a lui e prendendogli la mano tra le sue. La sua voce era calma, ma piena di passione. “Ma non possiamo permettere che queste ombre ci soffochino. Non possiamo lasciare che il mondo decida chi siamo.”

Simone sospirò, il peso delle sue insicurezze ancora evidente. “Non lo so, Chiara. Tu hai una forza che io non riesco a trovare. Tu… tu hai quella luce dentro di te. Io invece mi sento come se stessi affondando nel buio.”

Chiara scosse la testa con un sorriso dolce. “Non è vero, Simone. La forza ce l’hai anche tu. Solo che la tieni nascosta, forse perché hai paura di usarla. Ma io la vedo, sai? La vedo ogni volta che ti emozioni per qualcosa, ogni volta che parli di arte, ogni volta che sei te stesso. E il buio? Il buio è solo l’assenza di luce. Tu puoi accenderla, Simone. Devi solo crederci.”

Le sue parole erano semplici, ma colme di speranza, come se avessero il potere di scaldare un’anima congelata. Simone sollevò lo sguardo verso di lei, cercando di capire come facesse a trovare quell’entusiasmo nella vita, nonostante tutto.

Chiara non era immune alle difficoltà. Aveva sofferto anche lei, e il dolore le aveva insegnato che la vita è fatta di battaglie. Ogni caduta era una lezione, ogni ferita una cicatrice che raccontava una storia. Era questo che la rendeva forte: non il fatto che non cadesse mai, ma il fatto che trovava sempre il coraggio di rialzarsi.

“E se non bastasse? Se il mondo fosse più forte di me?” chiese Simone, la voce spezzata da un’incrinatura di vulnerabilità.

“Non sarà più forte di noi,” rispose Chiara, stringendo la sua mano più forte. “Non devi combattere da solo. Io sono qui. E non smetterò di esserci.”

In quel momento, Simone le sorrise. Era un sorriso debole, quasi impercettibile, ma era un segno che dentro di lui qualcosa si era mosso. Per lui, Chiara era un’ancora, un faro in mezzo a una tempesta.

E per Chiara, Simone era una sfida. Voleva aiutarlo a vedere il mondo con i suoi occhi, a trovare quel frammento di speranza che sembrava aver perso.

Quella notte, mentre si salutavano con un abbraccio, entrambi capirono che, nonostante le differenze, erano legati da qualcosa di profondo: la capacità di sostenersi a vicenda, di cercare la luce anche nei momenti più bui. Chiara non era immune alla tristezza, e Simone non era incapace di speranza. Insieme, forse, avrebbero trovato un modo per bilanciare quei due estremi e affrontare il mondo, fianco a fianco.


CONSAPEVOLEZZE

La mente è un universo sconfinato, misterioso, e vagare senza meta tra i suoi labirinti significa rischiare di smarrirsi nei propri pensieri.

Ancora una volta, lo sconforto torna a bussare. Mi sento intrappolata, stanca di soffrire. Soffrire per chi c’è e per chi non c’è. Per chi è vicino solo in apparenza e per chi è lontano, ma pesa ancora nel cuore. Tutto ciò che desidero è la serenità.

Vorrei potermi aprire davvero, raccontare tutto quello che mi porto dentro e liberarmi, piangendo ogni lacrima amara che ho accumulato nel tempo. Non chiedo tanto per essere felice: piccoli gesti. Semplici, spontanei. Un sorriso sincero, una parola gentile, un abbraccio inatteso.

E invece eccomi qui, a combattere un dolore che sembra non volermi abbandonare. Vorrei schiacciarlo, questo dolore. Vorrei affrontarlo con tutta me stessa, distruggerlo alla radice, sradicare ogni traccia della sua origine, e poter finalmente guardarmi allo specchio con orgoglio. Ma ogni volta che provo a capire da dove nasce questa sofferenza, finisco per perdermi di nuovo.

Perché tanto dolore? Perché questa insoddisfazione per ciò che mi circonda? Perché queste continue delusioni? Ancora non riesco a trovare la risposta.

Qual è la vera radice del mio tormento interiore?

A volte mi sento slegata da tutto ciò che è terreno, come se non appartenessi davvero a questo mondo. Eppure le cose di questo mondo mi feriscono, hanno un impatto su di me che non riesco a evitare. Come può qualcosa di cui mi sento estranea avere un potere così forte su di me?

Vorrei che le persone imparassero a rispettarsi. Vorrei che fossero se stesse, sempre, senza maschere, senza paura. Forse sembra una banalità, ma non lo è affatto. Vorrei una libertà autentica, una libertà senza condizioni, senza vincoli.

E invece mi sento prigioniera di questo stato d’animo velenoso, intrappolata in un malessere che non riesco a scrollarmi di dosso. Questo senso di precarietà, questa evanescenza che mi avvolge…

Ho bisogno di aiuto.
L’orgoglio.
L’incomprensione.
L’indifferenza.

Chiara scriveva spesso cose del genere, quasi come se volesse liberarsi del peso che portava dentro. Scrivere era il suo modo di mettere ordine tra i pensieri, di non lasciarsi travolgere da quel caos interiore che, giorno dopo giorno, rischiava di soffocarla.


Quando si staccarono, Chiara lo guardò negli occhi con un’espressione spaventata. Un brivido le attraversò la schiena al pensiero di ciò che Simone avrebbe potuto fare, di dove quel buio interiore avrebbe potuto condurlo.

“Parlami del tuo sogno…” mormorò Simone, quasi come un invito a spostare l’attenzione su di lei.

“No, ti prego, lascia perdere…” lo interruppe Chiara, con un tono brusco, quasi a voler scacciare via quel pensiero. Non era ancora pronta.


CONTRASTI

Ore 13:26

DRIIIIIIIIINNNNNNNN
Il rumore del campanello ruppe il silenzio.

Chiara si alzò lentamente, ancora con la testa immersa nei pensieri. Non si era ripresa del tutto da ciò che era accaduto quella mattina.

“Chi è?” chiese avvicinandosi alla porta.

“Chiara, siamo noi! Tutto bene?” risposero le voci di Alice e Camilla dall’altra parte.

Chiara esitò un istante, poi aprì. “Sì, sì, salite.”

Alice e Camilla entrarono, portando con sé quell’energia tanto familiare quanto distante. Erano amiche d’infanzia, sì, ma sembravano appartenere a un mondo diverso, quasi opposto a quello di Chiara.

Alice era la tipica ragazza spensierata, o forse superficiale: parlava solo di ragazzi, di vestiti, di programmi televisivi che Chiara trovava noiosi. Non aveva mai avuto un vero interesse per qualcosa di profondo, e per lei la vita sembrava un susseguirsi di momenti leggeri e frivoli.

Camilla, invece, era l’esatto opposto. Gentile, accondiscendente, sempre pronta a dire sì per evitare conflitti. Era come un’ombra che si adattava alla luce altrui, senza mai riuscire a brillare di luce propria.

Chiara, al contrario, era un turbine di passioni e pensieri. Aveva sempre cercato di dare un senso alla vita attraverso la musica, la scrittura e, soprattutto, le emozioni. Quelle emozioni che Alice e Camilla sembravano sfiorare appena, come se avessero paura di immergervisi davvero.

Eppure, nonostante le differenze, erano rimaste amiche. La loro infanzia le aveva legate in modo profondo, anche se, da quando Chiara aveva conosciuto Simone, sentiva che qualcosa era cambiato. Con Simone, Chiara poteva essere davvero sé stessa, senza filtri.

Alice e Camilla salutarono Simone con un cenno, quasi del tutto indifferenti. Per loro, era solo “quel ragazzo strano” con cui Chiara passava troppo tempo.

“Che ti è successo stamattina? Ci hai fatto preoccupare!” chiese Camilla con un tono premuroso.

“Niente di che, davvero,” rispose Chiara, cercando di tranquillizzarle. “Ero solo stanca… ieri sera ho fatto tardi. Davvero, non c’è bisogno di preoccuparvi.”

Alice sbuffò e cambiò subito argomento. “Sentite, perché non andiamo al lago? Ho bisogno di rilassarmi, di svagarmi un po’. Non ne posso più di studiare…”

Camilla sorrise. “Strano, eh?” rise, seguendo il tono ironico di Alice.

Chiara accettò senza troppa convinzione. Simone, come sempre, la seguì.


AL LAGO

Il lago era un rifugio perfetto: circondato dal verde, con l’aria fresca e il profumo della natura. Era lontano dal caos della città, un luogo dove tutto sembrava rallentare. I quattro si sdraiarono sull’erba, lasciandosi cullare dal suono del vento e dal canto degli uccelli.

Ma anche lì, le differenze tra di loro erano evidenti.

Mentre Alice e Camilla ridevano e chiacchieravano di cose banali, Simone si perdeva nei suoi pensieri. Steso sull’erba, fissava il cielo come se stesse cercando risposte tra le nuvole. Per lui, quelle distese bianche erano molto più che semplici vapori. Erano un simbolo, uno specchio dei suoi sogni e delle sue inquietudini.

“Dicono che, se guardi attentamente una nuvola, questa si trasforma in ciò che desideri nel tuo inconscio… vi è mai capitato?” chiese Simone, rompendo il silenzio.

Alice e Camilla lo guardarono, scoppiando a ridere. “Ma dai, Simone! Non dici sul serio… Le nuvole sono solo nuvole!” rispose Alice.

Chiara, invece, lo ascoltava in silenzio, affascinata. “Sì, certo… mi è capitato tante volte,” disse, ignorando le risate delle altre due.

Era sempre così. Alice e Camilla consideravano Simone troppo lunatico, troppo immerso nel suo mondo di fantasie. Per Chiara, invece, quelle parole avevano un significato profondo. Lei capiva Simone in un modo che le altre non riuscivano nemmeno a immaginare.

“Mi è capitato tantissime volte di vedere nei cieli i miei sogni…” continuò Simone, la voce piena di malinconia. “È triste, perché ti rendi conto che sono solo sogni, e che forse rimarranno lì, tra le nuvole. Ma, allo stesso tempo, è magico… perché lì, almeno lì, i sogni sono reali.”

Chiara chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalla voce di Simone. Era come se le sue parole dipingessero immagini nella sua mente, e lei potesse viverle, anche solo per un attimo.

“… Con la fantasia si può fare veramente tutto. Mi chiedo spesso che cosa si provi a poter volare, o anche solo, per un attimo, sfiorare una nuvola… Deve essere bellissimo, una sensazione unica, come se ti fondessi con la natura. Spero un giorno di riuscirci… ma anche questo lo vedo chiaramente rappresentato nel mio labirinto di nuvole… Sì, ho capito, è solo un sogno… bello!”

Chiara sognò ombre. Oscure, incombenti, le circondavano come un muro. Era un sogno strano, inquietante, ma anche affascinante. Al risveglio, sentì un impulso irresistibile.

“Datemi una penna, veloci!” esclamò, svegliandosi di scatto.

Simone, il primo a reagire, gliela porse. “Tieni.”

Chiara scrisse in fretta sulla mano: RIDERE PIANGERE RIDERE.

Alice e Camilla la guardarono sconvolte. “Chiara, ma che stai facendo?” chiese Alice.

“Non lo so,” rispose Chiara, con una lacrima che le scivolava sul viso. “Era nel mio sogno… dovevo scriverlo. Non so perché, ma sento che è importante.”

Simone la fissò a lungo. C’era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che non sapeva spiegare. Ma le sorrise, rassicurandola. “Va tutto bene, Chiara. Ci sono io.”

Alice e Camilla si alzarono, visibilmente a disagio. Non capivano Chiara, e non si sforzavano nemmeno di farlo.

“Non capisco cosa le stia succedendo,” disse Camilla mentre si allontanavano.

“Sta sempre con Simone,” aggiunse Alice con tono critico. “Le riempie la testa di fesserie. Dovrebbero cambiare entrambi, smetterla con queste sciocchezze…”

– Diavolo, la dolcezza –

Crudele, malvagio

nelle favole.

Invadi le tenebre

nelle favole.

Nelle favole,

tutto questo… solo nelle maledette favole.

Dolce, soave

nei sogni.

Armonioso e melodico

nei sogni.

Allo specchio…

Non ti accorgi

che sei bello come un angelo?

Era proprio così che pensavano Chiara e Simone. Due anime in contrasto con un mondo che sembra voler imporre una perfezione inesistente. Per loro, la perfezione è un’illusione, un inutile tentativo di rendere gli altri qualcosa che non potranno mai essere. Ognuno è fatto a modo suo, ed è questa diversità a renderci speciali. Cambiare per piacere agli altri? Sarebbe privo di senso.

Chiara e Simone credevano fermamente che il più grande difetto fosse proprio non accettare gli altri per quello che sono: pregi, difetti e tutto il resto. È questa la lezione che provavano a trasmettere al mondo, ma sembrava un’impresa impossibile. Le persone, sempre troppo impegnate in questioni superficiali, non si fermavano mai a riflettere su ciò che conta davvero.

Chiara e Simone, allora, sceglievano di fuggire da quel caos. Rifugiandosi nel loro universo fatto di pensieri profondi e sogni, cominciarono a comprendere una verità fondamentale: in loro non c’era assolutamente nulla di sbagliato. Il problema non erano loro; erano gli altri, troppo distratti per provare davvero a capirli.

“Vorrei tanto che tutti cominciassero ad aprire gli occhi sulla realtà…” disse Simone, pensieroso.

“Vorrei che tutti imparassero a volare con le emozioni…” lo seguì Chiara, con un sorriso dolce.

“Vorrei che ognuno trovasse un po’ della propria sensibilità… Ce n’è così tanto bisogno.”

Erano queste le loro discussioni, semplici e profonde al tempo stesso. Conversazioni “pseudo-filosofiche”, come le chiamavano scherzando. Ma era proprio in quei momenti che la loro vera essenza emergeva.

Ora capite perché erano davvero speciali?


Ore 16:29

“Simone, vado a casa, è tardi.”

“Io resto ancora un po’ qui. È così bello, soprattutto a quest’ora, quando non c’è nessuno. Posso finalmente sentirmi libero, immerso nella natura… se solo si potesse restare qui per sempre… Va beh, lasciami perdere. Ciao, a domani.”

“Ciao.”

Chiara si incammina verso casa. Si sente sola. È sola. Cerca di allontanare i pensieri negativi, di liberarsi da tutto il male del mondo, ma sa quanto sia difficile. Raggiungere la libertà sembra un’impresa titanica.

Ore 17:08

Chiara arriva a casa. Si precipita in bagno, si spoglia in fretta e si infila sotto la doccia.

“Ci voleva proprio!”

L’acqua calda la rilassa, ma la sua mente è altrove. Pensa ai due sogni che ha fatto nell’ultima giornata.

“Che strani sogni… cavolo! Com’è possibile? Eppure, in entrambi ho provato una sensazione nitida di libertà. Era bellissimo, lì…”

Chiara riflette a lungo, cercando di dare un senso a quelle visioni. Capisce che ciò che ha sognato rappresenta ciò che vorrebbe: un frammento di pace, anche solo per poche ore.

“È impossibile…”

[Chiara, niente è impossibile. I sogni si possono avverare. E se il destino avesse riservato proprio questo per te? Magari con il tempo lo scoprirai.]

Chiara sospira.

“Certe volte vorrei essere come Simone. Lui è un artista, sa estraniarsi da tutto e da tutti. Riesce a immergersi in un altro mondo. Vive per le emozioni, ed è proprio questo il bello. Però ultimamente anche lui sembra cambiato, diverso… quasi spaventato. Ci sta succedendo qualcosa, ma ancora non riesco a capire cosa. Perché proprio a noi?”

[Chiara, voi siete speciali.]


LA VERITA’

“Pronto?”

La voce di Chiara tremava, carica di un’urgenza che non riusciva a contenere. Il telefono sembrava troppo fragile per sostenere il peso delle sue emozioni.

“Simone, sono io. Senti, dobbiamo parlare. Mi devi spiegare cosa ti sta succedendo. Cosa ci sta succedendo? Tu sei strano, sei cambiato, e a me stanno capitando cose inspiegabili. Sai qualcosa? Dimmi la verità.”

Dall’altro capo della linea, un silenzio inquietante. Chiara percepiva il respiro irregolare di Simone, come se stesse cercando le parole giuste ma non sapesse da dove cominciare.

“Non lo so, Chiara,” rispose finalmente, la voce bassa, quasi un sussurro. “Ho paura. Ieri ho avuto i tuoi stessi flash, ma non te l’ho detto per non spaventarti. Però…” Si fermò, la frase incompiuta sospesa come un ponte su un abisso.

“Però cosa, Simone? Dimmi! Non lasciarmi così!” insistette Chiara, il cuore che batteva all’impazzata.

“…L’ho visto.”

Chiara rimase senza fiato. Il suo respiro si interruppe per un attimo eterno. “Visto cosa?!?”

Simone sembrò esitare ancora, poi si lasciò andare, come se un fiume di parole stesse finalmente trovando la sua via. “Il nostro mondo! Quello di cui parliamo sempre, Chiara. Il mondo dove vorremmo essere, ma dove non possiamo andare. Pensa a tutti i nostri discorsi: la voglia di libertà, di immergerci nell’infinito delle emozioni, di essere finalmente noi stessi… È reale. L’ho visto, Chiara. Era lì, davanti a me. È stato un istante, ma era tutto così… chiaro.”

Il cuore di Chiara sembrava esplodere. Non sapeva cosa pensare, cosa dire. Le parole di Simone le risuonavano nella mente come un’eco: il nostro mondo.

“Forse siamo destinati a viverlo solo nei nostri sogni…” sussurrò, con un filo di voce.

“No, Chiara.” La voce di Simone si fece più ferma, più decisa. “Forse siamo destinati a viverlo davvero. Non sarebbe magnifico? Fammi essere ottimista per una volta!”

“Sai, a volte mi chiedo da dove venga tutto questo mio pessimismo. È come se fosse parte di me, qualcosa di innato. Forse dipende dal fatto che le persone attorno a me sono così diverse da come sono io. Forse perché, oggi, la gente è troppo presa dai beni materiali per pensare a qualcosa di più profondo. Non lo so… mi sembra che nessuno capisca davvero cosa significhino le emozioni.”

Simone rimase in silenzio per un momento. Poi, con voce più grave, quasi soffocata da una tristezza profonda, confessò: “A volte penso che vorrei essere qualcun altro. Totalmente diverso da me. Solo per vedere come sarebbe… se le cose migliorassero. Ma alla fine so che è impossibile. Io sono io, Chiara. Sono così e devo accettarlo. Magari non c’è nulla di sbagliato in me. Magari… sono gli altri a non avere tempo di capirmi. Ma io ho bisogno di quel tempo, Chiara. Ho bisogno di essere capito. Non ce la faccio più così…”

Quelle parole, così cariche di dolore, colpirono Chiara come un colpo al petto. Sentiva ogni frammento della sofferenza di Simone, come se fosse la sua.

“Non dire così, Simone,” cercò di rassicurarlo, la voce rotta. “E se il destino avesse scelto proprio questo per noi? Forse c’è un motivo se siamo così…”

Simone rise, amaramente. “Sì, certo… troppo bello per essere vero.”

Poi, con un filo di voce, pronunciò una frase che Chiara non avrebbe mai dimenticato:
“It’s like a dream. No end and no beginning.”

Le sue parole rimasero sospese nell’aria, come un sussurro nel vento. Poi il silenzio.

Simone riagganciò, lasciando la conversazione a metà.

Chiara rimase immobile, il telefono ancora in mano. Il suo cuore sembrava in frantumi, ogni battito un urlo soffocato. Simone non aveva mai fatto così.. E ora, invece, sembrava perso, come una barca alla deriva.

“Mi sto preoccupando…” sussurrò, come se parlasse a sé stessa. “Non ha mai fatto così.”

[Il tempo passa…]

Chiara ripensava a quelle parole, a quel tono di voce, a quella rivelazione che sembrava un enigma impossibile da decifrare. Il loro “mondo”, il luogo dove finalmente sarebbero stati liberi… Era reale? Era davvero possibile che ciò che avevano sempre immaginato esistesse davvero, da qualche parte?

Le emozioni si accavallavano, confondendola. Si sentiva persa, ma al tempo stesso attratta da quella prospettiva. Un mondo dove le emozioni erano tutto. Dove lei e Simone potevano finalmente essere loro stessi, senza paura, senza giudizi.

Eppure, non poteva ignorare il senso di inquietudine che le stringeva il petto. Simone stava cambiando. E anche lei. Ma verso cosa? E, soprattutto, erano pronti ad affrontare ciò che stava per arrivare?


L’ULTIMO GRIDO

Ore 22:12

Simone si sdraia sul letto, il corpo pesante, come schiacciato da un macigno invisibile. Attraverso la finestra aperta, il cielo notturno lo osserva, immenso e indifferente. Le stelle brillano fredde, distanti, come se la loro luce fosse un monito che gli ricordava quanto fosse piccolo e irrilevante il suo dolore di fronte all’universo.

La luna, alta e silenziosa, sembra fissarlo con una compassione crudele. È perfetta nella sua solitudine, così irraggiungibile, così diversa da lui, che si sente spezzato e in pezzi.

“Che peccato… non poterla più vedere…” sussurra appena, la voce spezzata.

Una lacrima gli scivola lungo la guancia, lenta, quasi con esitazione, come se nemmeno lei avesse la forza di abbandonarlo del tutto.

Simone si solleva dal letto, come un automa. Ogni movimento è pesante, ma preciso, come se stesse seguendo un copione scritto nel profondo della sua anima. Si avvicina al cavalletto che aveva trascurato per settimane. Lo guarda, e poi afferra la tela bianca. Le sue mani tremano, ma non si fermano.

Osserva i colori sparsi sul tavolo. Sono lì, vibranti e vivi, pronti a trasformarsi in qualcosa di unico. Simone afferra un pennello. Lo sente pesante tra le dita, quasi fosse l’arma di una battaglia finale.

E allora inizia.

Le pennellate non sono semplici segni sulla tela. Sono urla silenziose, dolori inespressi, frammenti del suo essere che si riversano fuori, un pezzo alla volta. Ogni linea, ogni sfumatura porta con sé una parte del suo tormento. I colori si mescolano in vortici di rabbia, disperazione e speranza soffocata.

Il pennello corre come impazzito, guidato da emozioni troppo grandi per essere contenute. È un’opera selvaggia, cruda, che parla di tutto ciò che Simone è stato e tutto ciò che non sarà mai. È un grido d’aiuto che nessuno potrà sentire.

Quando finalmente posa il pennello, la tela davanti a lui non è più bianca. È viva, pulsante, carica di significato. Simone la osserva. Non c’è bisogno di spiegazioni. Il quadro è tutto ciò che ha dentro. Tutto ciò che non riesce più a dire.

Per un istante, un’unica, breve scintilla di pace lo attraversa.

“È finita…” pensa, con una calma che gli spezza il cuore.

Sa di non avere più niente da dare. Il dolore che ha portato dentro per così tanto tempo ha consumato tutto, lasciando solo un guscio vuoto. Sconfitto da quelle streghe che lo hanno sempre tormentato.

Con un gesto lento e deliberato, Simone posa il pennello sul tavolo. Si sdraia di nuovo sul letto, il quadro vicino a lui, quasi fosse un compagno di viaggio. La luna lo guarda ancora, immobile e lontana.

La stanza si riempie di silenzio. Un silenzio definitivo.


CARA CHIARA

11 aprile 2019, ore 1:29

Il telefono squilla nella stanza di Chiara, squarciando il silenzio della notte. Il suono è così improvviso, così violento, che lei si sveglia di soprassalto, il cuore che batte all’impazzata.

“Pronto?! Chi è a quest’ora?!?”

Silenzio.

Dall’altro lato, nessuna risposta. Solo un vuoto opprimente, un’assenza che pesa come un macigno.

Chiara sente un gelo attraversarle il corpo. È come se sapesse, nel profondo, che qualcosa non va. Il telefono le scivola dalle mani, cade sul pavimento con un rumore che le rimbomba nelle orecchie.

“Simone…” mormora, con un filo di voce.

Senza pensarci due volte, si alza e si precipita fuori di casa. Corre per le strade deserte, il freddo della notte le morde la pelle, ma lei non sente nulla. Ogni passo è un colpo al cuore, ogni respiro un peso insostenibile.

Arriva davanti alla casa di Simone.

Le luci blu delle volanti della polizia illuminano la scena in modo spettrale. Un’ambulanza è parcheggiata davanti all’ingresso, il lampeggiare rosso e bianco che sembra pulsare al ritmo del suo terrore.

“No… no…” balbetta Chiara, sentendo le gambe cedere sotto di lei.

Si fa strada tra la folla. Non sente le voci, non vede i volti. Sale le scale di corsa, ignorando chi cerca di fermarla. Quando finalmente arriva alla porta della camera di Simone, la spalanca con un gesto disperato.

E lo vede.

Simone è steso sul letto. Il suo volto è sereno, immobile. Sembra dormire. Per un attimo, un singolo istante, Chiara spera che sia tutto un brutto sogno. Ma il silenzio nella stanza, quel silenzio insopportabile, le dice la verità.

Vicino a lui, appoggiato delicatamente al cavalletto, c’è il quadro. È un’opera meravigliosa e terribile. Un’esplosione di colori, di emozioni, di dolore. È come se Simone avesse riversato la sua anima intera su quella tela.

Accanto al quadro, c’è un piccolo biglietto piegato.

Le mani di Chiara tremano mentre lo raccoglie. Lo apre, e gli occhi le si riempiono di lacrime già prima di leggere le parole che Simone ha lasciato per lei.

“Cara Chiara, non piangere, ti prego. Devi essere forte, e io so che lo sei, più di quanto io abbia mai saputo essere. Ora io sono felice… lo sai bene.

Questo quadro è per te. L’ho intitolato Il Parco dei Sogni. È tutto quello che volevamo vivere insieme, tutto quello che ci ha sempre fatto sperare, sorridere, resistere. In questo quadro ci sono anch’io, felice. Ti prego, ricordami così: libero, come il vento che scorre tra i colori di questa tela, e puro come le emozioni che abbiamo sempre inseguito.

So che presto, forse già tra poche ore, tu riuscirai a vivere quel momento che tanto abbiamo sognato. Forse durerà solo un istante, ma sarà reale, Chiara. Io non ce l’ho fatta, lo sai. Le ombre mi hanno sopraffatto, mi hanno spinto giù, lontano da tutto quello che avrei voluto essere.

Ma tu no, Chiara. Tu sei forte. Tu hai sempre saputo rialzarti, continuare a sperare, continuare a credere nelle tue emozioni. E hai fatto bene.

Promettimi una cosa: non smettere mai di credere in ciò che sei. Credere in tutto quello che fai. Se lo farai, io continuerò a vivere in te, attraverso te.

Chiara, non piangere. Le lacrime non servono. Sii calma, sii coraggiosa. So che ce la farai, perché sei la persona più incredibile che io abbia mai conosciuto.

Ti voglio bene, Chiara. Non mi dimenticherò mai di te e di tutto quello che hai fatto per me. Con tutto il cuore, grazie. Tuo, Simone.”


GUARDA IN SU’

Chiara rimane lì, nel cuore della notte, seduta sul pavimento della stanza di Simone, avvolta dal silenzio che ora sembra l’unico testimone della sua sofferenza. Il quadro è ancora stretto contro di sé, come se fosse un rifugio, un piccolo angolo di salvezza nel caos che le esplode dentro. La tela fredda, intatta, porta con sé il peso dell’anima di Simone e di tutta la sua disperazione. Ma, per Chiara, non è solo un ricordo. È un legame, un frammento di quel mondo che avevano immaginato insieme, quel mondo dove le emozioni erano più forti di tutto, dove la bellezza e la tristezza si intrecciavano in modo indissolubile.

Le lacrime scivolano silenziose lungo le sue guance, ma non sono più solo lacrime di dolore. C’è qualcosa di nuovo in esse, una consapevolezza che lentamente prende forma nel suo cuore. È come se il dolore, pur lancinante, stesse dando spazio a una nuova verità. Per la prima volta, Chiara sente che non è più sola in quel viaggio. Per la prima volta, capisce. Comprende che, nonostante la perdita devastante, Simone le ha lasciato qualcosa di indelebile: una parte di sé, del suo cuore, che ora è racchiusa in quel quadro e nelle parole che le ha scritto. Quella parte di Simone è viva in lei, nonostante la sua assenza fisica. È un legame che nessuna morte potrà mai spezzare.

Il cuore di Chiara batte forte, mentre un’ondata di emozioni la travolge. La tristezza lascia spazio alla gratitudine, un’emozione mista a dolcezza amara. “Questo è ciò che Simone voleva”, pensa. “Mi ha dato la sua anima, la sua visione del mondo. Mi ha mostrato come vivere con passione e senza paura di essere ciò che siamo veramente.”

Con le mani che tremano ancora, Chiara si alza lentamente. Il quadro è sempre stretto a sé, come se fosse una protezione contro l’incomprensione del mondo. Ma ora, invece di cercare di scappare dal dolore, si permette di affrontarlo. Le lacrime non sono più un segno di debolezza, ma di una forza che emerge nel momento più oscuro, una forza che le parla di un futuro che Simone, in qualche modo, le ha lasciato. Un futuro in cui Chiara non sarà più sola. In cui Simone sarà sempre con lei, nei sogni, nei pensieri, nel cuore.

Alza lo sguardo, e per la prima volta dopo tanto tempo, si sente leggera. La luna illumina la stanza, mentre il cielo sopra di lei è vasto e immenso. Chiara chiude gli occhi per un attimo, immaginando Simone lassù, dove le stelle non sono fredde e lontane, ma vicine, brillanti, piene di vita. Lo vede in un posto dove non c’è dolore, dove finalmente può essere libero, dove le sue emozioni non sono più in conflitto con il mondo che lo ha consumato. Immagina che, da lassù, lui la stia guardando, sorridendo come non aveva mai fatto sulla terra, sereno, felice. La consapevolezza di questa immagine la invade.

“Lo farò, Simone. Vivrò per te. E per me.”

Le parole escono senza fatica, come una promessa che nasce dal profondo di lei. Sono parole che sono arrivate dal cuore di Simone e ora vivono nel suo. Non sono più parole di rassegnazione, ma di speranza. Non sono più il lamento di una perdita, ma l’affermazione di una nuova vita che sta nascendo. La notte, che prima le era sembrata senza fine, ora è diversa. Non è solo oscurità. È anche una tela bianca, pronta per essere dipinta con nuove emozioni, nuove scoperte. La sua vita sta per cambiare, per prendere una direzione che non aveva mai pensato possibile.

Il silenzio che l’avvolge ora sembra diverso. Non è più oppressivo, ma pieno di significato. È il silenzio di un nuovo inizio, il silenzio che accompagna la consapevolezza che qualcosa di più grande sta accadendo dentro di lei. Qualcosa che le darà la forza di andare avanti, anche nei giorni più difficili. Simone le ha mostrato la via, le ha donato il coraggio di vivere senza paura di perdere ciò che conta davvero.

Chiara sorride tra le lacrime. Il suo cuore non è più spezzato. È intero, come non lo è mai stato.

E la notte, finalmente, non è più sola. Non è più il simbolo della fine, ma dell’inizio. Un inizio che Simone aveva sognato, che lei ora realizza, anche se da sola. Perché, in fondo, Chiara sa che non sarà mai davvero sola.

E qualcosa dentro di lei si risveglia.


SEI PRONTO?

“Ma è tristissimo…” disse Marco, la voce spezzata dalla commozione, incapace di nascondere il turbamento che quella storia stava suscitando in lui.

Chiara lo guardò, ma non rispose subito. Il dolore di Simone era ancora vivo dentro di lei, una ferita aperta, ma c’era qualcosa di più in quelle parole. Non solo la tristezza di una perdita, ma una rivelazione che le aveva dato una nuova forza. Per la prima volta in vita sua, Chiara si sentiva in grado di affrontare il futuro.

“Sì, lo so, ma mi ha permesso di conoscere la verità, di riuscire finalmente a capire…” rispose Chiara, lo sguardo fisso nel vuoto, come se stesse cercando di decifrare i frammenti del passato che ora si svelavano davanti a lei. La sua voce tremava, ma in mezzo a quella fragilità c’era una determinazione che Marco non poteva ignorare. “Gliene sarò grata per tutta la vita. Ma non è finita qui, Marco… questo è solo l’inizio.”

La sua voce, prima soffocata, ora portava con sé una forza che non le apparteneva. Non era solo il ricordo di Simone che la spingeva a parlare, ma la consapevolezza che quella rivelazione era solo il primo passo verso qualcosa di ancora più grande. Era come se una nuova versione di sé stessa stesse prendendo forma, costruita sulle macerie del passato.

Chiara abbassò gli occhi, le mani strette tra loro, come se cercassero di raccogliere tutte le emozioni che si stavano riversando in lei, e poi iniziò a raccontare. Parlò del cancello verde, della vecchia signora, di quel parco che un tempo esisteva, vent’anni prima, ma che ora sembrava un ricordo lontano, quasi dimenticato. La sua voce tremava leggermente, ma c’era un impeto nei suoi occhi, una luce che non aveva mai visto prima. “Non avrei mai immaginato che tutto fosse così legato…” disse, un sorriso triste sfiorando le sue labbra, come se stesse svelando il segreto di un sogno infranto.

“Quello che ho vissuto, quello che ho sentito, non era solo mio. Era parte di una storia più grande, quella di Luca, di Sara e di Sonia, una storia che riguarda anche te, Marco, riguarda ognuno di noi. Una storia che è sempre stata lì, nascosta, in attesa di essere scoperta.”

Marco la guardava con occhi pieni di stupore, ma anche di un timore profondo. Era come se ogni parola che Chiara stesse pronunciando stesse cambiando la realtà che conoscevano. Era un racconto che suonava impossibile, ma al contempo così tangibile. Per un attimo, non riusciva a credere a ciò che sentiva, ma poi si accorse che non poteva ignorarlo. La gravità della situazione non gli sfuggiva, eppure la bellezza di ciò che Chiara gli stava raccontando era così forte che non riusciva a distogliere lo sguardo.

“È così incredibile…” ripeté Marco, scuotendo la testa, incapace di credere a ciò che stava ascoltando. “Come se stessi raccontando una fiaba…”

Chiara lo guardò, i suoi occhi ormai pieni di una luce che non aveva mai visto in lui. “No,” disse con fermezza, senza esitare. “Non è una fiaba. È la verità. Ho vissuto il passato attraverso i ricordi di Sara, e sono stati proprio loro a farmi entrare in quel parco. Ed è lì che ho capito.” La sua voce si fece più forte, come se stesse proclamando una verità universale. “E ora tocca a te, Marco. Devi provarci anche tu. Devi entrare. Fallo per me.”

Marco esitò, il cuore che batteva forte nel petto. La paura di non essere all’altezza di quella sfida, di non capire davvero cosa stesse per succedere, lo paralizzava per un attimo. “E se non succede nulla?” chiese, la voce piena di dubbi, ma anche di speranza.

Chiara lo guardò con un’intensità che quasi lo penetrava. “Deve succedere, per forza,” rispose, la sua voce calma ma assoluta. “Me lo sento. Devi crederci, Marco. Non può finire così.” Le parole uscivano da lei come una certezza che non ammetteva possibilità di fallimento. C’era qualcosa in quel momento che era più grande di entrambi, qualcosa che li trascendeva.

Marco respirò profondamente, la mente che correva in mille direzioni. Aveva paura, ma allo stesso tempo sentiva che doveva farlo. Non c’era più spazio per il dubbio, solo per l’azione. L’idea che la verità, quella verità che Chiara gli aveva appena svelato, dipendesse da una semplice scelta lo rendeva ansioso, ma era anche consapevole che quella scelta avrebbe cambiato tutto. 

Con il cuore che batteva forte, e una risoluzione crescente, si avvicinò al cancello verde. Chiara lo osservava in silenzio, trattenendo il fiato, sapendo che quel momento avrebbe segnato un punto di non ritorno. “Cosa farai tu?” chiese Marco, prima di varcare la soglia.

“Io devo aspettare qui,” rispose Chiara, la sua voce quasi sussurrata, ma piena di significato. “Non si può rivivere ciò che è già stato vissuto. Ma tu… tu puoi farlo. Devi farlo.”

Marco annuì lentamente, incerto ma deciso. Poi, senza più indugi, attraversò il cancello.

In pochi secondi, il mondo che lo circondava sembrò cambiare. La luce intorno a lui si fece più sfocata, come se fosse avvolta da un velo sottile. L’aria sembrò farsi più densa, carica di un’energia sconosciuta. I suoni si distorcevano, il tempo stesso sembrava rallentare, come se ogni movimento fosse sospeso, in attesa di qualcosa di straordinario. Il paesaggio attorno a lui si trasfigurava, diventando qualcosa di familiare ma allo stesso tempo alieno, come se stesse attraversando una soglia tra due mondi, tra il passato e il presente.

Chiara, dall’altra parte, sentiva che tutto stava cambiando. Quel momento, quel passo che Marco aveva appena compiuto, era solo l’inizio di un viaggio che li avrebbe cambiati per sempre. Ogni fibra del suo corpo lo sentiva, come se il destino, quello stesso destino che l’aveva spinta a scoprire la verità, ora stesse prendendo una piega che li avrebbe trascinati in un’avventura più grande, in una dimensione che nemmeno lei poteva ancora comprendere completamente.

“Non possiamo più tornare indietro,” pensò Chiara, il cuore che batteva in sintonia con il destino di Marco, ora inevitabile.


IL PARCO DEI SOGNI

…e all’improvviso Marco si ritrovò in un posto incredibile. Come per incanto, i grigi palazzi, il fango e la desolazione svanirono, lasciando il posto a un angolo di paradiso. Il parco, rigoglioso e pieno di vita, si stendeva davanti a lui nel suo splendore. Era un’oasi di verde, dove ogni albero, ogni fiore sembrava brillare di una luce propria. Il sole, caldo e avvolgente, illuminava il paesaggio, e l’aria era intrisa di quella felicità che sembrava tangibile, come se anche il vento stesso fosse pervaso da una pace eterna.

I ragazzi correvano, ridevano, suonavano musica, mentre i cani correvano liberi tra gli alberi. Ogni suono, ogni risata, sembrava far parte di un’armonia perfetta, e Marco si sentì sopraffatto da una sensazione di meraviglia che non riusciva a spiegarsi. Un sorriso spontaneo si dipinse sul suo volto, mentre il calore del sole lo avvolgeva come un abbraccio. Era come entrare in un sogno che aveva ascoltato più volte senza mai poterlo toccare. Ora, invece, tutto era reale, eppure così distante dalla realtà che conosceva.

Marco si fermò per un momento, sbalordito. Non poteva credere ai suoi occhi. Il parco che Chiara gli aveva descritto prendeva vita in maniera ancora più incredibile di quanto avesse immaginato. Non solo c’erano i ragazzi di cui lei gli aveva parlato, ma anche tanti altri, giovani volti che non conosceva, eppure sembravano parte di questo mondo, come se il parco avesse continuato a vivere, a evolversi, a crescere attraverso gli anni, mantenendo intatto il suo spirito originario.

“Un piccolo mondo parallelo…” mormorò Marco, un sorriso malinconico che sfiorava le sue labbra. Era come se fosse entrato in un mondo dove il tempo e lo spazio non avevano più valore, dove ogni cosa che gli era stata raccontata prendeva forma sotto i suoi occhi.

Camminò lentamente, cercando di assimilare tutto ciò che lo circondava, quando, all’improvviso, lo vide. Lì, in fondo al parco, su un’altalena, c’era un ragazzo. Marco si fermò, il cuore che batteva più forte. Aveva in mano un quaderno e stava disegnando con una cura che sembrava quasi sacra. Avvicinandosi, notò una scritta sul foglio: “Per Chiara.”

Un brivido gli percorse la schiena. Non c’era dubbio. Doveva essere Simone. La rivelazione lo colpì come un fulmine.

Si avvicinò, ma un pensiero lo fermò. Non si può parlare con loro. Non ci sentono. Le parole di Chiara gli risuonarono in testa. Marco tentò comunque di sfiorarlo, ma l’impossibilità di stabilire un contatto lo paralizzò per un attimo. Simone, come tutti gli altri in quel parco, sembrava vivere in un mondo a parte, in una dimensione parallela che non avrebbe mai potuto toccare.

Simone si alzò improvvisamente, come se avesse avvertito qualcosa. Cominciò a camminare, e Marco, senza pensarci troppo, si fece strada tra la folla, cercando di raggiungerlo. Ma più si avvicinava, più qualcosa dentro di lui cambiava. Un’improvvisa sensazione di angoscia e tristezza lo pervase. Eppure, in mezzo a quella tristezza, sentiva una connessione, una sorta di empatia profonda. Era come se stesse vivendo ogni emozione di Simone: il dolore di non essere compreso, la gioia che provava stando con Chiara, la solitudine che lo opprimeva, e infine quel vuoto devastante che l’aveva consumato nei suoi ultimi giorni.

Marco chiuse gli occhi per un attimo, incapace di contenere il peso di quelle emozioni. Simone si voltò, come se lo stesse fissando attraverso il velo invisibile che separava i loro mondi. Il suo sorriso non era quello di chi era felice, ma di chi aveva accettato una realtà che non avrebbe mai voluto. Un sorriso che racchiudeva anni di solitudine, di incomprensione. Un sorriso che, nonostante tutto, era pieno di una dolce malinconia che Marco riconobbe in sé, come se quella sofferenza fosse qualcosa che anche lui, in fondo, aveva sempre provato.

“Adesso che conosco la sua storia…” pensò Marco, “posso dire che, in qualche modo, mi assomiglia.” Un sorriso triste si dipinse sulle sue labbra, quasi a voler abbracciare quel dolore che Simone portava con sé. Era un’affinità che andava oltre la semplice comprensione, era una connessione che il tempo e la morte non avrebbero mai potuto spezzare. Non avrebbe mai potuto dirglielo, ma in quel momento, Marco sentiva di volerlo abbracciare, di dirgli che non era più solo, che qualcuno, anche da lontano, capiva.

Marco proseguì il suo cammino, con il cuore ancora pesante per ciò che aveva appena vissuto. Camminando, si ritrovò davanti a una casa, non lontano da dove Simone si era allontanato. C’era un muro coperto da edera, e in un angolo, qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò lentamente. La scritta blu che Sara aveva lasciato vent’anni prima era ancora lì, visibile nonostante il tempo trascorso. Era una testimonianza di un amore passato, un simbolo di ciò che il parco aveva rappresentato per chi lo aveva vissuto, per chi aveva lasciato una traccia di sé stesso nelle sue pieghe più intime.

Marco rimase lì, a guardare quella scritta, come se fosse l’unica cosa solida in un mondo che sembrava confondersi tra passato e presente. Un silenzio profondo avvolgeva il parco, un silenzio che parlava di speranza e di dolori che non svanivano mai del tutto. In quel momento, Marco sentì che qualcosa di grande stava accadendo, ma non sapeva ancora come, né perché.

Il parco dei sogni era ancora vivo, ma non per tutti. Solo per quelli che, come lui, avevano il cuore aperto abbastanza da accogliere il peso della storia e dell’emozione che lo attraversavano. Marco si sentiva parte di quella storia, ora. Non più come uno spettatore, ma come qualcuno che aveva visto, sentito, e forse, in qualche modo, capito.

Il parco continuava a vivere nei ricordi, nelle storie di chi ci era passato, come Simone, e anche come Chiara. E ora Marco sentiva che anche lui, per qualche ragione misteriosa, era entrato a far parte di quella storia.


STRANOMONDO

Il tempo passava, impercettibile eppure inesorabile, e Marco si ritrovò di nuovo al punto di partenza, con una consapevolezza che prima gli era sfuggita. Ogni passo che aveva fatto dentro il parco, ogni emozione che aveva vissuto, lo aveva cambiato profondamente. Il parco dei sogni non era solo un luogo magico, ma una sorta di viaggio dell’anima, un luogo che forzava i cuori a confrontarsi con i propri ricordi, i propri desideri, e le proprie perdite. Il paesaggio, ora che stava per lasciarlo, gli appariva diverso: le luci, i suoni, le sensazioni che aveva assaporato non sarebbero mai più state come prima.

Si voltò per l’ultima volta, guardando il parco in tutta la sua bellezza e, allo stesso tempo, nel profondo della sua anima, avvertiva un’inquietudine dolce, come se qualcosa di irrisolto fosse rimasto tra quelle mura di sogno. Ma, con una leggera stretta al cuore, Marco capì che tutto ciò che aveva visto non sarebbe mai svanito. Il parco, infatti, non era un posto da lasciare, ma un frammento di sé da portare dentro. Era un’esperienza che lo aveva segnato, che lo aveva reso consapevole della fragilità dei legami, ma anche della forza dei ricordi e dell’amore che essi custodivano.

Varcò il cancello, sentendo un’incredibile leggerezza nei passi. Al di fuori, Chiara lo stava aspettando, come se nulla fosse cambiato, ma Marco sapeva che nulla sarebbe stato più come prima. Era cambiato, e lo era anche lei.

“Allora? Cosa hai visto?” le chiese Chiara, con il suo sorriso curioso, la sua voce che sembrava quasi volerlo tirare fuori da un sogno.

Ma Marco non riusciva a rispondere. I suoi occhi erano lucidi, pieni di una sottile emozione che lo attraversava, come una corrente di energia che scendeva dal cuore agli occhi. C’era una tale intensità dentro di lui che le parole sembravano non bastare.

Chiara lo guardò, e in quel silenzio capì tutto. Non c’era bisogno di spiegazioni. Aveva visto, sentito, vissuto tutto ciò che era stato racchiuso nel parco. Aveva incontrato il passato, il dolore, ma anche la bellezza pura che si nascondeva dietro ogni ricordo. Era grata, infinitamente grata di aver potuto condividere quel momento con Marco, che adesso non era più il ragazzo che l’aveva accompagnata in una storia misteriosa, ma qualcuno che condivideva una parte della sua vita.

“Torniamo a casa… sarai stanco,” disse Chiara, con quella dolcezza che solo lei sapeva avere, mettendo una mano sulla spalla di Marco, come per proteggere quel momento di fragile bellezza.

I due ragazzi stavano per andarsene, quando improvvisamente una voce li chiamò.

“Chiaraaa!”

Chiara si voltò velocemente, il cuore che batteva più forte. Non poteva credere ai suoi occhi. Davanti a lei c’era la figura di Sara, la vecchia signora che aveva tanto amato, che tanto le aveva insegnato. Chiara corse verso di lei, e in un abbraccio silenzioso si scambiarono tutto: gratitudine, speranza, e una felicità mai detta, ma che parlava di un legame che non aveva mai smesso di esistere.

“Questo è Marco,” disse, indicando il suo amico.

“Ah, lo so bene chi è. E lo devo ringraziare. È grazie a lui che sono qui,” rispose la vecchia signora, con un sorriso che sembrava racchiudere una vita intera di esperienze e saggezza.

“Ti ricordi quando ti dicevo che non potevo più entrare qui? Beh, grazie a voi ora posso farlo di nuovo.”

“Davvero?!” chiese Chiara, incredula, eppure dentro di sé sentiva che tutto ciò aveva un senso. Era la prova che il parco aveva sempre avuto una sua legge, che solo chi era pronto a vivere completamente il passato poteva farne parte.

“Sì!” rispose Sara, la sua voce pacata ma carica di un’emozione profonda. “Bastava che qualcun altro rivivesse la storia del parco. E tu, Chiara, hai portato il tuo amico.”

“Ma… quindi…” Chiara non riusciva a finire la frase, come se tutto fosse troppo grande, troppo straordinario per essere compreso in un solo respiro.

“Sì, Chiara… anche tu ora sei libera di rivivere la storia. Sei riuscita a cogliere tutti i piccoli segnali. Hai sconfitto il desiderio di dimenticare, e hai trasmesso tutte le tue emozioni a Marco. È grazie a queste che lui è riuscito ad entrare. È grazie a te, alla tua volontà e ai tuoi ricordi.”

Chiara sgranò gli occhi, la consapevolezza che l’aveva sempre cercata ora era finalmente chiara dentro di lei.

“Allora avevo ragione, quando sentivo che qualcuno mi stava spingendo a tornare qui!” esclamò, con un sorriso che parlava di una consapevolezza profonda, di un mondo che ora riusciva a comprendere appieno.

Sara sorrise, e il suo volto si illuminò di una serenità infinita, quella serenità che solo chi ha vissuto e ha accettato la propria storia può portare.

“Sì… è meravigliosa la forza del parco… ha continuato a vivere, sempre, non si è mai fermato, neanche per un minuto! Ora andate, miei cari… voglio stare un po’ da sola… con Luca.”

Marco e Chiara si abbracciarono alla vecchia signora, il cuore che traboccava di un’emozione indescrivibile. Era il passaggio definitivo, il momento in cui tutto, finalmente, si ricomponeva.

“Spero di rivederla presto!” la salutò Chiara, e Sara le rispose con un sorriso che sembrava nascondere un’intera saggezza. Poi, come una figura eterea, sparì, lasciando dietro di sé un silenzio carico di pace.

“Marco, ora hai vissuto tutto anche tu!” disse Chiara, con un tono di dolce felicità. “Spero che ti sia piaciuto. A me ha lasciato così tanto… e poi, l’ho fatto per un amico che ora non c’è più.”

“Ah, a proposito… l’ho visto!” rispose Marco, con gli occhi brillanti di un’emozione che non si riusciva più a contenere.

“Chi?” chiese Chiara, ora curiosa come non mai.

“Simone… il tuo amico. Era seduto su un’altalena, stava disegnando… per te. Ed era davvero felice.”

Chiara rimase senza parole, e poi un sorriso, misto a lacrime, le scese sul volto.

“Non è possibile!” disse, ma le sue lacrime erano dolci, come una pioggia che purifica. “Ci sei riuscita… finalmente. Lui è contento, e ora lo sarai anche tu!”

Chiara si gettò tra le braccia di Marco, piangendo, ma anche sorridendo, mentre nel suo cuore si accendeva una nuova speranza, una libertà che aveva cercato per tanto tempo. Ogni lacrima era una liberazione, e quel sorriso, che sembrava riscaldare l’intero universo, parlava di una pace che finalmente l’aveva trovata.

I due tornarono a casa, felici, continuando a raccontarsi la storia del parco… STRANOMONDO!

Chiara salutò Marco e si preparò per andare a dormire. Quella era stata una giornata lunga e intensa, ma per Chiara sarebbe stata la notte più bella. Una notte senza preoccupazioni, senza incubi. Ora, finalmente, era serena.


BATUFFOLI

Chiara si svegliò e guardò fuori dalla finestra, rimase senza parole.

Il primo colpo d’occhio fuori dalla finestra cattura la magia del momento. La neve, che copre tutto, non è solo un fenomeno naturale, ma diventa il riflesso esterno di ciò che Chiara sta vivendo dentro di sé. La neve è leggera e morbida, come se il mondo stesso volesse accogliere in un abbraccio silenzioso la sua nuova consapevolezza. Dopo tutto ciò che ha vissuto nel Parco dei Sogni, con tutte le emozioni e i ricordi condivisi con Simone e con la vecchia signora Sara, Chiara sta attraversando una sorta di purificazione interiore, e la neve diventa il simbolo di questa rinascita.

Ogni fiocco che cade dal cielo sembra quasi scolpire nella sua mente un ricordo prezioso, un gesto d’amore, una risata che non smette di echeggiare. Non è solo un mattino d’inverno: è un risveglio emotivo, il momento in cui il mondo fuori, finalmente, si fa specchio di ciò che accade dentro di lei. Non più il dolore, non più l’incertezza, ma un senso di completezza e di tranquillità.

Stava nevicando… e nevicava da parecchio, perché tutto era coperto da un soffice strato di piume leggere.

Chiara osserva la neve che scende e sa che questo è il momento giusto. Non è solo una giornata di neve, ma un giorno speciale, un giorno che lei aveva sentito arrivare, ma che solo ora riesce a riconoscere nella sua pienezza. Il parco, il luogo delle sue storie e dei suoi sogni, la sta chiamando per un ultimo incontro, uno che la porterà a chiudere il cerchio, a completare la sua trasformazione.

Era proprio il giorno giusto…Chiara si vestì in fretta, pronta a correre verso il parco per l’ultima volta.


Era ancora più bello. C’era qualcosa di magico nell’aria, un’energia che rendeva il parco ancora più incantevole. La neve, leggera e silenziosa, scendeva lentamente, coprendo ogni angolo con un manto di purezza. Anche dentro il parco dei sogni, la neve cadeva morbida, come se il parco stesso stesse respirando con Chiara, respirando insieme a lei. Un battito, un respiro condiviso, un senso di pace che tutto avvolgeva.

Chiara non riusciva a fare a meno di sorridere, mentre sentiva la dolcezza della neve che scendeva intorno a lei, carezzando il suo volto, come un abbraccio invisibile che le ricordava quanto fosse viva, quanto fosse finalmente libera. Ogni fiocco che cadeva sembrava raccontarle una storia, la storia di un amore perduto, di un sogno vissuto, di una speranza mai del tutto abbandonata. Un manto di meraviglia che copriva tutto, persino le cicatrici del passato.

Senza pensarci, iniziò a correre sotto la neve, come una bambina che ritrovava il suo primo gioco. Le risate sgorgavano spontanee, liberatorie, come se quella neve fosse riuscita a scivolare via tutto il peso che portava nel cuore. Le braccia alzate verso il cielo, cercava di raccogliere ogni singolo fiocco che cadeva, ogni attimo che le sfuggiva e che ora desiderava stringere tra le mani. Rideva, rideva come non faceva da tanto tempo. Non c’erano più paure, non c’erano più ombre, solo un’infinita leggerezza che la faceva sentire parte di tutto ciò che la circondava, parte del parco, parte della neve, parte della vita stessa.

Batuffoli 

Neve soffice e viva,
Cade libera e pungente,
Manto di nuvole,
Cotone.

Le parole fluirono dalle sue labbra, leggere come il vento, leggere come la neve che continuava a danzare intorno a lei. Ogni parola, ogni pensiero si perdeva nella magia del momento. Non c’era altro. Non c’era più nulla di cui preoccuparsi. Solo la neve, il parco, il silenzio che le parlava più forte di qualsiasi parola. La sua anima finalmente si stava ritrovando, un passo dopo l’altro, un sorriso dopo l’altro.

Si avvicinò all’altalena, si sedette con un gesto semplice, ma pieno di significato. Accanto a lei, c’era Simone. Non si guardarono, non si dissero nulla. Non serviva. Il silenzio tra loro era più eloquente di qualsiasi discorso. Entrambi avevano stampato un sorriso sulle labbra, un sorriso che non aveva bisogno di essere spiegato, un sorriso che parlava da sé. Si erano “sentiti”. Ogni emozione, ogni ricordo, ogni silenzio era un ponte che li univa, un filo invisibile che li teneva legati. Non c’era più bisogno di parole. Si erano trovati nel silenzio, nella comprensione che nasce solo da chi ha vissuto e sentito, da chi ha attraversato le stesse tempeste e ora si riposava insieme, sotto lo stesso cielo.

Simone stava scrivendo qualcosa su un foglio. Non era importante cosa stesse scrivendo. Chiara non aveva bisogno di saperlo. Non le serviva. Ciò che importava era il momento, il qui e ora. Era lì, con lui, e per un istante il mondo intorno a loro si fermò, come se il tempo avesse deciso di non scorrere più. Ogni secondo, ogni respiro, era una promessa di eternità.

La neve continuava a cadere, ricoprendo ogni cosa con il suo manto di purezza. Il parco dei sogni era avvolto in un abbraccio di serenità. Ogni singolo fiocco che toccava il suolo sembrava immortalare quel momento, come se il parco stesso avesse deciso di non dimenticare, di non lasciare andare. Ogni attimo restava lì, sospeso, per sempre. La magia della neve, la magia del parco, l’incontro silenzioso tra due cuori che non avevano bisogno di parole, ma che sapevano, nel profondo, di essere esattamente dove dovevano essere.

E mentre la neve copriva tutto, avvolgendo ogni cosa in un abbraccio di calma, Chiara chiuse gli occhi per un istante, respirò profondamente, e sorrise. Ora sapeva che il parco non era solo un luogo da cui si passava, ma che viveva attraverso di loro. La storia di Simone, la sua, la loro storia, non sarebbe mai finita. Il parco dei sogni, con il suo manto di neve, sarebbe rimasto lì, eterno. Una parte di loro. Una parte di lei. Prima o poi sarebbe stato scoperto da qualcun altro.

La neve continuava a cadere, ricoprendo ogni cosa con il suo potere. Ogni singolo istante veniva immortalato, come se fosse congelato per sempre. Tutto restava lì, immobile, per sempre.

È questa la magia della neve.
È questa la magia del Parco dei Sogni.

Fine?!

 

 


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Una replica a “Ritorno al Parco dei Sogni”

  1. […] Il seguito di questa storia si trova qui: Ritorno al Parco dei Sogni […]

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