Uragani e Farfalle

Storie brevi e fotografie


Il Parco dei Sogni

Ho rielaborato la storia del Parco dei Sogni di Francesca Chiara presente all’interno dell’album che si può ascoltare solo qui per ora. Una sorta di omaggio a questo disco che mi ha cambiato la vita.


11 aprile 2019 – ore 14.02

Dopo un’intera mattinata trascorsa tra interrogazioni snervanti e il peso delle lezioni, tre ragazze rientrano da scuola, stanche e un po’ annoiate, lasciandosi trasportare nel cuore del traffico cittadino dal solito autobus. Il vetro sporco riflette i loro volti assorti, mentre fuori, oltre la superficie appannata, la città scorre indifferente. Osservano i passanti con sguardi persi, come se fossero ombre evanescenti, sagome prive di una vera direzione, immerse in un’esistenza che sembra ripetersi senza scopo né passione.

«Avrei una montagna di cose da studiare stasera…» sospira Camilla, mentre tamburella con le dita sullo zaino appoggiato sulle ginocchia.

Alice sbuffa, gli occhi che brillano di entusiasmo. «Ma che ti importa? Quello di stasera è un evento irripetibile! I Lovecrave si sono riuniti per un ultimo concerto, capisci? Forse non accadrà mai più… Non possiamo perderceli, non dopo tutti questi anni di attesa!»

«Già…» aggiunge Chiara con un sorriso complice. «Non fare la solita secchiona, dai. Studierai un’altra volta. Queste occasioni vanno colte al volo!»

Camilla si morde il labbro, fingendo un’esitazione che in realtà non ha più. «Ok, messa così non fa una piega… mi avete convinta. Mi sento quasi obbligata.»

Ridono insieme, alleggerite dalla scelta, mentre l’autobus procede nella sua corsa monotona tra le strade affollate. Perdono la cognizione del tempo, immerse nelle loro chiacchiere, finché un dettaglio fuori dal finestrino non attira l’attenzione di Alice.

«Ehi, aspetta un attimo…» si irrigidisce all’improvviso. «Abbiamo superato la nostra fermata.»

Camilla sgrana gli occhi e si sporge per controllare. «Cosa?! Dovevamo scendere tre fermate fa!»

«Ma dove siamo finite?» chiede Chiara, scrutando l’oscurità oltre i lampioni fiocamente illuminati. L’aria sembra più pesante qui, satura di un odore umido di terra e di polvere.

Un’insegna arrugginita oscilla pigramente sopra una strada quasi deserta. Le vetrine dei negozi, con le saracinesche abbassate, appaiono come occhi ciechi che osservano il nulla. Il silenzio è quasi irreale, rotto solo dal lontano ronzio di un’insegna al neon difettosa.

«Siamo nella Zona Vecchia…» mormora Alice, rabbrividendo. «Com’è buio qui.»

«Torniamo indietro, dai!» propone Camilla, stringendosi nella giacca. «Il prossimo tram dovrebbe passare tra dieci minuti. Meglio non perderlo.»

«Se mia madre scopre che sono stata da queste parti, mi chiude in casa fino alla laurea… o peggio, mi uccide proprio!» scherza Chiara, cercando di sdrammatizzare. Ma il suo sorriso svanisce in fretta mentre scruta le strade deserte. «Non riesco a capire come la gente possa ancora vivere qui. Dopo la guerra, questo posto sembra essere rimasto congelato nel tempo…»

A pochi passi da loro, una figura esile si muove lentamente sul marciapiede dissestato. È una vecchia signora, avvolta in un cappotto troppo grande per il suo corpo fragile. Si regge a fatica su un bastone, e ogni passo sembra un’impresa.

Le ragazze si scambiano uno sguardo e si avvicinano a lei.

«Signora, sta bene?» chiede Alice, con dolcezza. «Possiamo aiutarla in qualche modo?»

L’anziana alza lo sguardo su di loro, e i suoi occhi chiari, pieni di rughe e di anni, si illuminano con un bagliore di gratitudine. «Sì, grazie… Aiutatemi a sedermi su quella panchina.»

Le ragazze la sorreggono con delicatezza e la accompagnano verso una panchina di legno, scheggiata e consumata dal tempo.

«Come siete gentili…» mormora la donna con un sorriso appena accennato. «Qual è il vostro nome?»

«Io sono Camilla.»

«Io Alice.»

«E io Chiara.»

Appena sente quel nome, la vecchia signora sussulta. I suoi occhi si velano per un istante, e sul suo volto compare un’espressione strana, sospesa tra la sorpresa e un dolce ricordo. Guarda Chiara con un’intensità inspiegabile, come se stesse vedendo qualcuno che conosceva molto tempo prima.

O forse, semplicemente, è solo il peso degli anni che la confonde.

Dopo un attimo di silenzio, la donna si rialza di scatto e si avvicina a un muro poco distante. Con un gesto lento e solenne, accarezza la superficie ruvida con le dita tremanti.

«Guardate.»

Le ragazze si avvicinano, curiose.

Sul muro, scritto in lettere blu ormai sbiadite dal tempo, si legge chiaramente:

“Luca, ti amo. Sara.”

Le parole, nonostante gli anni, sembrano ancora pulsare di vita propria, come un messaggio che si rifiuta di essere cancellato. Una traccia indelebile di un amore appartenente a un’altra epoca.

«Chi ha scritto questa frase?» chiede Camilla, incantata.

La vecchia signora sospira, il suo sguardo perso tra passato e presente. «È una lunga storia, mie care ragazze…»

Ma le tre amiche non si accontentano di quel vago accenno. La loro curiosità è troppo forte, abbastanza da far dimenticare loro persino l’autobus che le avrebbe riportate a casa.

«Vogliamo sapere tutto!» insiste Alice.

L’anziana sorride, quasi divertita dalla loro insistenza. Poi indica qualcosa più avanti.

«Vedete quel cancello laggiù?»

Le ragazze seguono la direzione del suo dito. In fondo alla strada, un cancello verde scuro, arrugginito e deformato, si erge come un guardiano di un luogo dimenticato.

«Un tempo, dietro quel cancello, c’era un parco…» continua la donna con voce sognante. «Non questi palazzi spenti e grigi, ma un parco meraviglioso. C’erano alberi altissimi, e il sole splendeva sempre…»

Le ragazze restano in silenzio, affascinate.

«Se volete conoscere la verità…» aggiunge l’anziana, con un’ombra di mistero nella voce. «Dovrete varcare quel cancello. Solo così potrete vedere com’era questo posto vent’anni fa.»

Chiara si volta per guardarla. «Vent’anni fa?» ripete perplessa.

Oltre il cancello si vede solo terra brulla e detriti. Nulla che lasci pensare a un parco rigoglioso.

«Dovete capire che non tutto è come sembra…» sussurra la donna. «Ogni luogo ha un passato. Ogni luogo ha un’anima.»

Si volta per andarsene, ma Alice la trattiene per un braccio.

«Perché non viene con noi?»

L’anziana scuote la testa con un sorriso malinconico. «Bambina mia… non si può rivivere ciò che si è già vissuto. O almeno… io non ho ancora capito come farlo.»

Le tre ragazze si guardano l’un l’altra, il cuore che batte forte. Poi, senza dire una parola, si avvicinano al cancello arrugginito.

E lo oltrepassano.

11 aprile 1999 – ore 14.18

Appena varcano il cancello arrugginito, una folata di vento caldo le avvolge, portando con sé un profumo inaspettato: non più l’odore acre di polvere e asfalto bagnato, ma quello dolce dell’erba appena tagliata, dei tigli in fiore, dell’aria pulita dopo un temporale estivo.

Chiara si ferma di colpo, il respiro mozzato dall’incredulità. Attorno a loro, il paesaggio si trasforma in un battito di ciglia. I palazzi grigi e decadenti svaniscono come dissolti in un miraggio, inghiottiti da una luce dorata che si rifrange nell’aria. Il terreno fangoso sotto i loro piedi si tramuta in un tappeto soffice di prato verde, punteggiato di fiori selvatici. Il cielo, prima spento e plumbeo, si accende di tonalità intense, un azzurro vibrante attraversato da nuvole leggere, sfumate di rosa e arancio.

Alice si porta una mano alla bocca, incredula. «Oh mio Dio…» sussurra. «Com’è possibile?»

Davanti a loro si estende un parco rigoglioso, vivo. Non il deserto abbandonato che avevano intravisto oltre il cancello, ma un luogo pulsante di energia. Ci sono ragazzi ovunque: alcuni ridono e corrono tra gli alberi, altri suonano la chitarra seduti sull’erba, altri ancora ballano in cerchio, le gonne svolazzanti che disegnano movimenti armoniosi nell’aria. Cani scodinzolano felici, inseguendosi tra le foglie mosse dal vento. Il sole, alto nel cielo, avvolge tutto in una luce calda, avvolgente, quasi irreale.

Camilla si gira lentamente su se stessa, cercando di imprimere ogni dettaglio nella mente. «Non… non è possibile…» balbetta. «Ma stiamo sognando?»

Chiara si sfrega gli occhi, come se bastasse quel gesto a riportarla alla realtà. «Guardate i colori del cielo… non li ho mai visti così vivi. E quanta gente… Ma avete notato com’è strano il loro modo di vestire?»

Ora che ci fanno caso, i ragazzi intorno a loro sembrano provenire da un’altra epoca. Jeans a vita alta, giacche di pelle consunte, gonne lunghe abbinate a camicette dalle fantasie retrò. Un gruppo di ragazzi gioca con uno stereo portatile da cui esce una musica dal suono vintage, un misto di synth e chitarre elettriche.

Alice si avvicina istintivamente a una coppia che ride sotto un albero, cercando di attirare la loro attenzione. «Ehi!» esclama. «Scusate, potete dirci dove siamo?»

Nessuna reazione.

Li osserva per qualche istante, in attesa di un cenno, un minimo segno di riconoscimento. Ma niente. È come se non esistesse.

Si volta di scatto verso le altre due. «Ragazze… credo che… credo che non possano vederci.»

Camilla si avvicina a un gruppo di ragazze sedute su una coperta, intente a chiacchierare e a mangiare da un cestino da picnic. Si china davanti a loro e agita una mano. «Ehi, voi!» dice ad alta voce. «Ci sentite?»

Nessuna reazione. Le ragazze continuano a ridere tra loro, completamente ignare della sua presenza.

Un brivido le percorre la schiena.

«Cosa… cosa sta succedendo?» domanda Chiara, con la voce tremante. «Siamo invisibili? Perché nessuno ci considera?»

Alice stringe le mani a pugno, cercando di dare un senso a ciò che sta accadendo. «Forse… forse non siamo davvero qui.»

Camilla deglutisce, sentendo una morsa stringerle lo stomaco. «Allora dove siamo?»

Nessuna di loro ha una risposta. Ma una cosa è certa: questo posto, questo tempo, non appartiene al presente.

STRANOMONDO

Sara che si ferma al parco e mangia una mela
Gloria sotto un albero si sente un po’ sola
Sonia guarda il cielo e vola via
Non cadrà mai
Luca è ancora per la strada a fare un po’ di moneta
Forse Dio vorrà che incontri Sara e cambi un po’ vita
forse Dio non vuole più che
Stiamo fra noi
Ma che strano, strano mondo è
Piccolo e strano, strano mondo in me
C’è la storia di Andrea che è sempre senza lavoro
Spaccia droga lì nel parco proprio dietro a quel muro
Vende morte a Luca e Sara no
Non lo salverà
Poi c’è Chiara che si veste con le cose più strane
“Odio tutto quanto il mondo” dice una sua canzone
Ma Dio non la sentirà
In questa città
Fra vent’anni quel parco sarà un gran palazzone
E tu sentirai le voci di una generazione
Salire su più su più su
Gridare con te
C’è una scritta blu
Su quel muro di una casa
Dice “Luca ti amo, Sara”
Il nostro parco non c’è più.

Chiara strizza gli occhi, cercando di mettere a fuoco i volti attorno a loro. C’è qualcosa di stranamente familiare in quelle persone. Non solo negli abiti fuori moda o nei loro gesti spontanei, ma in qualcosa di più profondo, più intimo.

«Aspettate un attimo…» sussurra, portandosi una mano alla tempia. «Io… io li conosco.»

Alice e Camilla la fissano, confuse.

«Di che parli?» chiede Alice.

Chiara si passa una mano tra i capelli, come se stesse cercando di afferrare un ricordo che sfugge tra le dita. «Non so spiegarmelo, ma li riconosco. E riesco… riesco a sentire i loro pensieri.»

Il cuore le batte forte mentre il suo sguardo vaga nel parco, perdendosi tra le voci e le risate. Poi, all’improvviso, si ferma su una figura solitaria, distesa nell’erba poco distante.

Una ragazza.

Ha gli occhi rivolti al cielo, ma sembrano spenti, come se il sole che illumina tutto attorno a lei non riuscisse a scaldarle l’anima. Il viso è solcato da ombre sottili, segni di lacrime che hanno scavato il loro passaggio silenzioso sulla pelle. I capelli scuri si spargono sull’erba come fili d’inchiostro, mentre le sue dita giocherellano distrattamente con un filo d’erba, senza convinzione, senza vita.

Un nodo stringe la gola di Chiara. «Guardate quella ragazza laggiù… sembra voler volare via.»

Alice e Camilla seguono il suo sguardo.

«Chiara… che cosa vuoi dire?»

Chiara sente un brivido correrle lungo la schiena. C’è qualcosa di tragico in quella scena, qualcosa di irrimediabile. Il dolore di quella ragazza è un’onda silenziosa che si propaga nell’aria, invisibile ma palpabile, come un eco lontano che si insinua nel petto.

«Si chiama Sonia.» La sua voce è un soffio. «E sta per fare qualcosa di terribile. Dobbiamo fermarla.»

Camilla fa un passo avanti, ma Alice la trattiene per un braccio. «Aspetta.»

«Cosa?» sbotta Camilla, tirandosi indietro con un gesto brusco. «Non vedi? Sta soffrendo. Non possiamo restare qui a guardare!»

Alice abbassa lo sguardo, stringe i pugni. Poi, con voce più ferma, dice: «E se non potessimo fare nulla?»

Chiara si gira verso di lei, confusa. «Cosa vuoi dire?»

Alice esita un attimo prima di parlare. «Lo sapevi che alcune farfalle vivono un solo giorno?»

Chiara la fissa senza capire.

«Per un solo giorno volano libere, danzano nell’aria con i loro colori sgargianti, sfiorano i fiori, si librano nel vento. E in quel singolo, fugace giorno fanno più di quanto molti di noi facciano in una vita intera.» Si ferma un attimo, poi aggiunge, con un filo di voce: «Forse anche Sonia è così.»

Un silenzio irreale cade su di loro.

Camilla scuote la testa. «No… non può essere. Dobbiamo almeno provare a…»

«E se fosse già scritto?» Alice la interrompe, guardandola con occhi lucidi. «E se il suo destino fosse quello di volare via?»

Il vento soffia piano tra gli alberi, scompigliando le foglie e facendo danzare petali colorati nell’aria. Sonia chiude gli occhi un istante e sorride appena, un sorriso fragile, sfuggente, come quello di qualcuno che ha già deciso.

E le tre ragazze restano lì, immobili, con il fiato sospeso, incapaci di capire se debbano accettare il mistero della vita o lottare contro il tempo per cambiarlo.

BUTTERFLY

Che cos’è che stai per fare
Voli via – Sei sicura che ci sia
Quella vita che tu vuoi
E se la troverai
So già che vorrai tornare
Farfallina cosa fai
A un centimetro dai guai?
Cos’è che ti fa annoiare il cuore
Mentre arricci il naso in su
E guardi a caso la TV
E’ la vita sai
E forse è meglio non pensare
Allo schifo che ti fa
Questa strana umanità
Vai guarda dentro te
Non pensare che
Sia facile volare
E’ un mondo strano piccola butterfly
Vai guarda in che sogno vivrai
E se lo vuoi
Tu ce la puoi fare
Non ti guardare indietro mai
Non rallentare piccola butterfly
Adesso che vai contro il sole
E voli via – Sei sicura che non sia
Come burro quel che vuoi
E che si sciolga via
Sei sicura di non farti male?
Farfallina cosa fai
A un millimetro dai guai?
Guarda il mare – vola via
Verso il sole
Tu non guardare giù
E non ritornare più

Le tre ragazze continuano a camminare, immerse in quel mondo sospeso tra sogno e realtà. Il parco sembra infinito, un labirinto incantato dove ogni angolo racchiude una storia, un frammento di vita cristallizzato nel tempo. L’aria profuma di erba bagnata e fiori selvatici, mentre il sole filtra attraverso le fronde degli alberi secolari, creando mosaici di luce e ombra sul terreno.

Chiara, Alice e Camilla si guardano intorno con occhi pieni di meraviglia. Quel luogo sembra aver lasciato un’impronta profonda su chi lo ha vissuto. Ovunque ci sono persone che ridono, parlano, suonano strumenti o semplicemente si godono il tepore del sole. Ogni cosa trasmette un’energia vibrante, come se il tempo, qui, avesse un ritmo diverso, più lento e intenso.

Ma poi, all’improvviso, tutte e tre si fermano.

Come se un filo invisibile le trattenesse.

Si scambiano uno sguardo carico di stupore e, quasi senza accorgersene, gridano all’unisono:

«Luca!»

Il nome si dissolve nell’aria come un’eco lontana.

Ed eccolo lì.

Seduto ai piedi di un maestoso platano, una chitarra tra le mani, le dita che sfiorano le corde con sicurezza. Intorno a lui, cinque ragazzine lo osservano incantate, sospese tra l’adorazione e la timidezza. Luca sorride, il capo leggermente inclinato, il corpo rilassato come chi è perfettamente a suo agio sotto i riflettori. Gli piace essere al centro dell’attenzione, lo si vede da come si muove, da come scherza tra un accordo e l’altro. Forse ne ha bisogno. Forse, senza quello sguardo costante su di sé, si sentirebbe perso.

Alice si morde il labbro, lo osserva per un lungo istante e poi sussurra: «È davvero carino…»

Camilla le lancia un’occhiata esasperata. «Smettila! Pensi sempre alle stesse cose… Guarda piuttosto chi c’è dietro quell’albero…»

Chiara segue il suo sguardo e il cuore le perde un battito.

Una ragazza bionda è nascosta dietro il tronco nodoso di un grande faggio. Tiene stretto un paio di libri al petto, come fossero uno scudo, e ha una piccola borsa a tracolla che le sfiora il fianco a ogni movimento incerto. Il suo sguardo è fisso su Luca, ma non osa avvicinarsi. Rimane nell’ombra, lontana dalle altre ragazzine che ridono e sospirano davanti a lui. C’è qualcosa nel suo modo di stare lì, in disparte, che parla di esitazione, di sogni trattenuti sulla soglia dell’impossibile.

Chiara stringe gli occhi. «È lei… vero?»

Alice annuisce piano. «Sara.»

Il nome aleggia tra loro, portato via da una brezza leggera.

E proprio in quel momento, come se avesse percepito quell’invisibile chiamata, Luca si gira.

I suoi occhi incontrano quelli di Sara. Un attimo. Un battito d’ali nel caos del tempo. Per caso. O forse no.

L’universo sembra fermarsi, sospeso sul filo invisibile di quello sguardo. Il brusio del parco si dissolve in un silenzio ovattato, come se il mondo intero trattenesse il fiato. Il vento si placa, le foglie smettono di danzare nell’aria, perfino la luce del sole si fa più dorata, più calda.

Sara rimane immobile. Il cuore le martella nel petto, un ritmo irregolare che rimbomba nelle orecchie. Quel ragazzo che ha osservato per così tanto tempo, da lontano, ora la sta guardando davvero. Non come fanno gli altri. Non con distrazione, non con superficialità.

Ma con qualcosa di più. Un riconoscersi senza spiegazioni.

Luca inclina leggermente il capo, come se volesse mettere a fuoco un ricordo mai vissuto, un frammento di possibilità perduta. Per un istante, il mondo intero potrebbe scomparire e nessuno dei due se ne accorgerebbe.

Un solo istante. Un frammento di eternità che brucia come una stella cadente.

E basta così poco, così incredibilmente poco, per cambiare tutto. Che strano.

TI AMO CHE STRANO

Ti amo, che strano
10 secondi e ci conosciamo
Anche meno, forse non ci crederai.
Ti amo e mi odio
Tengo i miei sogni dentro l’armadio
Lo apro piano, guardo dentro e tu ci sei.
Quanti anni hai?
Ancora non lo so, forse te lo chiederò
Ti han detto mai…
Ti amo è marziano
E’ come se tutto crollasse piano
Non ci riesco a non pensarti sempre ormai
Dentro chi sei?
Ancora non lo so, forse te lo chiederò
Qualcuno ti ha detto mai TI AMO
Quando vedrai
Quel bisogno che ho di urlare al mondo
Quello che ora tengo dentro
Quella rabbia senza senso
Forse un giorno mi vedrai
Ti amo, che strano
Ho perso anche il treno…ma che ore sono?
Dove siamo io con tutti i dubbi miei ?
Non è giusto, non ci riesco
A stare lontana e a lasciare posto
A chi non ti ama ed ad assistere al via-vai
E allora quanti anni hai ?
Ancora non lo so, forse te lo chiederò
Qualcuno ti ha detto mai TI AMO
Quando vedrai
Quel bisogno che ho di urlare al mondo
Quello che ora tengo dentro
Quella rabbia senza senso
Forse un giorno mi vedrai
E allora quando vedrai
Quel bisogno di spaccare il mondo
Di seguire quell’istinto
Quella rabbia senza senso
Forse un giorno mi vedrai
Ti amo, che strano
10 secondi e ci conosciamo
Anche meno
Lo so non ci crederai.

Il tempo sembra essersi dissolto come sabbia tra le dita, scivolato via senza che nessuno se ne accorgesse. Le stagioni si sono rincorse, i giorni si sono accavallati l’uno sull’altro, eppure eccoli lì, Luca e Sara, mano nella mano.

Insieme.

La loro presenza emana un’aura di dolcezza e complicità, come se il mondo attorno a loro avesse perso significato. Lui la guarda con quella luce negli occhi che nessuna delle ragazze ha mai visto prima. Non è solo affetto, è qualcosa di più profondo, un legame che sembra scritto nelle stelle da sempre. Sara, con il suo sorriso timido e lo sguardo che brilla di emozione, si stringe a lui come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Come se non potesse essere altrimenti.

Ma non tutti condividono quell’incanto.

Dall’altra parte del parco, leggermente in disparte, una figura femminile li osserva con occhi scuri e impenetrabili. Gloria. La sua bellezza è di quelle che non passano inosservate: lunghi capelli corvini, labbra perfette, uno sguardo magnetico. Eppure, in quel momento, l’ombra del risentimento vela il suo volto.

Camilla la nota per prima e il suo sesto senso le suggerisce immediatamente qualcosa di poco rassicurante. «Ragazze, non mi piace per niente.»

Alice stringe le labbra, osservando meglio la scena. «Gloria…» sussurra. «È sempre stata innamorata di Luca.»

Chiara si volta verso di loro con un’espressione dubbiosa. «Ma davvero? Sembra solo un’amica…»

Camilla scuote la testa, le braccia incrociate strette al petto. «Un’amica? Guarda bene come lo fissa.»

Gloria non è solo infastidita. È furiosa. Sotto la maschera di apparente tranquillità, i suoi occhi tradiscono un’emozione cruda, bruciante. Le sembra assurdo che la piccola, insignificante Sara sia riuscita a fare ciò che lei non ha mai potuto: far innamorare Luca.

Luca, quello che non si impegnava mai.

Luca, il ragazzo che viveva solo di musica, di libertà, di serate leggere senza promesse.

E adesso?

Ora è cambiato. Si è lasciato catturare da lei, da quella ragazza timida che, fino a poco tempo prima, era solo un’ombra nell’angolo di un parco.

E Gloria questo non può sopportarlo.

Non doveva essere Sara.

Doveva essere lei.

Il suo cuore batte forte mentre li osserva. Non le serve dire nulla per farsi capire. Il modo in cui si muove, il modo in cui inclina appena il mento e si passa una mano tra i capelli è studiato. Perfino il suo sorriso, aperto e smagliante, nasconde un’ombra di veleno.

E poi, con una naturalezza perfida, si avvicina.

Troppo.

Troppo vicina a Luca, tanto che il suo braccio sfiora il suo. Ride alle sue battute con un entusiasmo esagerato, gli lancia sguardi carichi di sottintesi. Si aggrappa a ogni pretesto per toccarlo, per attirare la sua attenzione, ignorando completamente la presenza di Sara.

Sara, che resta immobile.

Sara, che abbassa lo sguardo e stringe le dita attorno alla mano di Luca come se temesse di perderlo da un momento all’altro.

Camilla si morde il labbro e scatta in avanti, determinata. «Dobbiamo fare qualcosa.»

EDERA

Edera che si arrampica
Si attacca a te
Edera cresce subdola
Che brava è
Mangia i miei sogni e ti trascina via
Sì lentamente
Mangia i miei sogni brava amica mia
Guardala bella e limpida
Cattiva dentro
Sì se ne accorge chi non sa
Fermarla in tempo
Ti mangia con gli occhi e s’attorciglia a te
Poi lentamente
Sposta gli scacchi e sostituisce me
Svegliati finchè sei in tempo
Muoviti da lì o si muore
Muore tutto il nostro mondo
Strappa via quei rami all’edera
Sono bella più del sole
Sono verde come l’edera
Guardala come l’edera
Che scivola via
Edera che entra libera
In casa mia no !
Basta coi trucchi è guerra se la vuoi
Amica cara
So essere più cattiva di te sai !
Rit
Svegliati che è un sogno finto
Che non è così l’amore
Cercati nel nostro mondo
Strappa via quei rami all’edera
Sono bella più del sole
Sono verde come l’edera

Gloria ora è sola.

E per la prima volta, il peso della solitudine la schiaccia sul serio.

Si stringe le braccia attorno al corpo, quasi a proteggersi da un dolore che non si sarebbe mai aspettata di provare con tanta violenza. Le lacrime scivolano giù, silenziose, mentre il suo respiro si spezza in singhiozzi soffocati.

Luca l’ha respinta. Senza mezzi termini, senza lasciare spazio a fraintendimenti. Ha tagliato ogni filo che li legava, senza voltarsi indietro. E ora, con la stessa rapidità con cui ha cercato di conquistarlo, Gloria si ritrova a perdere tutto.

Non solo lui.

Anche Sara.

Perché, nel profondo, sa di aver sbagliato. Sa di aver oltrepassato il limite, di aver ferito l’unica persona che non meritava di soffrire. Ma ormai è troppo tardi.

Qualcosa dentro di lei si spezza irrimediabilmente.

Si allontana dal parco con passi incerti, gli occhi ancora annebbiati dalle lacrime. Ogni respiro è un macigno nel petto. È un dolore sordo, un tormento che la divora dall’interno, lasciandola svuotata.

Le ragazze la osservano da lontano, il cuore diviso tra rabbia e compassione.

«Mi fa quasi pena.» Camilla sospira, mordendosi il labbro. «Ma non avrebbe dovuto comportarsi così. Se l’è cercata.»

Alice, però, non distoglie lo sguardo. C’è qualcosa in quella disperazione che le è fin troppo familiare.

«Dobbiamo aiutarla?» chiede Chiara con un filo di esitazione.

«E come?» ribatte Camilla. «Non può vederci, non può sentirci. Per lei non esistiamo.»

Alice, però, rimane in silenzio per un lungo istante. Sta pensando. Ricordando.

Poi sussurra: «Anche io ho sofferto così.»

Le altre due la guardano, sorprese da quel tono così dolce, così carico di qualcosa che non sanno definire.

«So cosa significa rincorrere un’illusione, credere in qualcosa che poi si sgretola tra le dita. So cosa vuol dire sentirsi persa, vuota.» Le sue parole sono leggere come il vento, ma cariche di una verità che viene da lontano. «Forse posso trasmetterle il mio stato d’animo. Farle capire che può reagire, che non è la fine.»

Camilla e Chiara si scambiano un’occhiata incerta.

«Provaci.»

Alice si avvicina a Gloria.

Si ferma proprio davanti a lei, guardandola negli occhi rossi di pianto, anche se l’altra non può vederla. Attende. Respira con lei. Sintonizza il battito del proprio cuore con il suo dolore.

Poi, in un attimo sospeso, Gloria avanza.

E la attraversa.

Un brivido le scuote entrambe. Per un istante, le loro emozioni si fondono, si confondono. Gloria sente il dolore di Alice, la sua malinconia, la sua forza. Alice avverte il peso della sconfitta di Gloria, la rabbia, la paura di non essere abbastanza.

E poi tutto torna come prima.

O quasi.

Gloria si ferma, le spalle tese. Il respiro si fa più calmo, più profondo. Si volta appena, come se avesse percepito qualcosa, qualcuno. Ma non vede nulla. Solo il vento che muove le foglie, il sole che sta calando dietro il parco.

Eppure…

Un sorriso, sottile, si forma sulle sue labbra.

Non di amarezza. Non di disprezzo.

Ma di consapevolezza.

Poi si volta e se ne va.

Alice resta immobile, il cuore che le martella nel petto. Ma ora ha capito.

Gloria ha visto, nel modo in cui solo un’anima smarrita può vedere.

E ora sa cosa vuole davvero.

VOGLIO

Voglio solo capire se
Voglio esistere senza te
Questo è un giorno speciale sai
Sono sola oramai
Voglio solo portarmi a cena e poi
Voglio farmi le carte
Voglio solo frignare un altro po’
Ma da domani vedrai
Da domani vedrai sarò io a rubare
L’aria agli altri sì
Ancora tu non lo sai cosa riesce a fare
Questa pazza qui
Voglio solo mangiare tutto e poi
Voglio solo parlare a vanvera
Voglio starmene a letto i giorni no
Voglio solo qualcosa che non so
Voglio andare nuda al mercato sì
Voglio solo rubare agli autogrill
Voglio fare un bambino con chi c’è
Voglio dire “ti amo” a me
Voglio solo parlare con gli animali e vivere così
Voglio andare su Marte a cercare i fiori
Che nascono lì
Voglio te
Ma se non ti posso avere troverò me
Sono stanca di pensare e di essere in me
Voglio uscire e non tornare – fare spese
Comperare anche le nuvole
Voglio te
Voglio andare di notte in autostop
Voglio fare a botte giù nel metrò
Voglio mettermi i tacchi e il trucco e poi
Dare un bacio con lingua a un angelo
Voglio fare qualcosa che non va
Voglio spegnere il sole un po’
Voglio solo tornare piccola
E giocare con i robot
Voglio te voglio me voglio il sole voglio te
Voglio te voglio me voglio fare tutto
Voglio andare – voglio andare via
Andare – voglio andare via
Dormire – voglio odiare un po’
Rubare – voglio andare e rubare te

Più in là, nascosta nell’ombra discreta di un albero secolare, c’è un’altra ragazza.

«Guardate!» sussurra Chiara, con un misto di stupore e curiosità. «Si chiama come me.»

Chiara è sola. Ma non è una solitudine nuova, improvvisa. È una compagna silenziosa, un’ombra che la segue ovunque vada.

Se ne sta in disparte, le cuffie ben salde sulle orecchie, la musica così alta da cancellare ogni altro suono. La osservano senza essere visti, scrutandola nel suo piccolo universo fatto di note e pensieri che nessuno riesce a decifrare del tutto.

È diversa, lo è sempre stata. Veste senza curarsi di piacere agli altri, i capelli spettinati, i vestiti scuri, larghi, quasi a voler nascondere ogni contorno. È quella con le idee scomode, quella che canta in un gruppo punk e grida la sua rabbia in testi che solo pochi sanno capire. È quella che non si adatta, che non abbassa la testa, che sfida il mondo con uno sguardo di fuoco.

Eppure, ora, i suoi occhi non bruciano più.

Sono spenti.

Neri come la notte, densi di pensieri che non vuole condividere. Cosa nasconde dentro di sé? Quante storie non racconta?

«È difficile entrare nel suo mondo.» La voce di Alice è un soffio nel vento. «Ma dobbiamo provarci.»

Chiara non sta solo ascoltando la musica. Sta cercando.

Qualcuno che non c’è più.

Qualcuno che se n’è andato, inghiottito dal fango di una realtà troppo dura, troppo crudele. Aveva provato a salvarlo, aveva teso la mano mille volte, urlato il suo nome nel silenzio di un’apatia che lo trascinava sempre più giù. Ma non era bastato.

Era arrivata troppo tardi.

E ora, ogni giorno, ogni notte, lo cerca.

Nella gente che passa, nei volti sconosciuti, nelle note che la sua musica prova disperatamente a trattenere.

«Sentite…» mormora Alice. «Sta pensando al mare.»

Ed è così intenso quel pensiero, così vivido, che per un istante il parco sembra trasformarsi.

Un soffio salmastro sfiora le guance, l’odore del sale si insinua nell’aria, il rumore delle onde si mescola al vento tra gli alberi.

Chiara lo vede, quel mare.

Quello stesso mare dove ha incontrato Andrea per la prima volta.

Là dove tutto è iniziato.

Là dove tutto è finito.

Il parco è incredibile. La sua magia sembra dare forma ai pensieri, trasformarli in immagini, in suoni, in ricordi talmente intensi da sembrare reali.

E ora Chiara sta chiedendo aiuto.

Non con le parole, ma con quel mare che si agita dentro di lei.

Lo sentono tutti.

E chissà se qualcuno riuscirà a salvarla prima che le onde la trascinino via.

L’ONDA

Il tramonto è rosa
L’arancione è già andato via
Chiara è tutta sola
Dentro a un buco di malinconia
E c’è il mare che le dice
“Chiudi gli occhi e lui tornerà”
Ma poi sente quella voce
Strana in testa che sussurra :
“Butta via, butta via, butta via l’amore
Butta via, butta via, butta via l’amore”
Che senso ha – che male fa
Che senso ha giocare
Che senso ha
Ridere, scherzare senza te
E l’onda va…
Il rumore in testa
Era musica un anno fa
Chiara il tempo passa
E batte lento sulla riva
E c’è troppa gente, troppi sguardi
Troppo sole
E fa rabbia chi sorride in faccia a chi sta male
“Butta via, butta via, butta via l’amore
Butta via, butta via, butta via l’amore”
Che senso ha – che male fa
Che senso ha giocare
Che senso ha
Vivere senza te
Che senso ha – che male fa
E tutto va a morire
Che senso ha
Ridere, scherzare senza te.
E l’onda va…

«Sta ridendo?»

«No… forse sta piangendo.»

Le emozioni si confondono sul volto di Chiara come ombre che si dissolvono e si ricompongono in forme sempre nuove. È difficile capire cosa provi davvero, persino per lei. La sua espressione è un enigma che muta a ogni battito di ciglia.

Chiara è sola. Ma non perché lo voglia.

Il mondo intorno a lei sembra appartenere a qualcun altro, a persone che ridono, scherzano, si muovono leggere come se non avessero peso. Le guarda da lontano, come si osservano le vite di sconosciuti attraverso un vetro appannato.

Forse sono loro i fantasmi.

O forse lo è lei.

Chiara abbassa lo sguardo e, con un gesto lento, posa uno specchio sull’erba umida. La sua immagine le restituisce qualcosa che non riconosce del tutto. Si osserva, quasi con diffidenza, mentre due piccole farfalle danzano nell’aria intorno a lei, leggere, inconsapevoli della sua malinconia.

«È bellissima…» sussurra qualcuno.

E forse, per la prima volta, anche lei lo nota.

Ma i suoi occhi raccontano un’altra storia.

Sono scuri, velati da ombre che sembrano vive, inquiete. Ombre che non si dissolvono alla luce del sole.

«Cosa sono?»

«Non lo so.»

Ma sono lì da sempre, annidate nel profondo della sua anima, sussurrano pensieri che la tengono sveglia la notte, che le stringono il petto quando tutto il resto sembra andare avanti senza di lei.

Chiara è un’onda che non trova mai riva.

A volte ride.

A volte piange.

Senza un motivo.

O forse con troppi motivi.

E mentre lei ride, piange e poi ride ancora, le streghe continuano a ballare.

STREGHE

Sono streghe
Quelle cose piccole
E tutte nere
Che io vedo dentro te – in te
Vivi male
Chiusa nei tuoi incubi
Chiara vuole
Cosa vuole Chiara qui ?
Vuole dire no
Stare sempre sola
Chiusa sulle nuvole
Farsi male e poi
Ridere
Piangere
Ridere
Ballano libere
Tutte le streghe
Na Na Na…
Mangi poco
E dormi arrotolata a te
Come un filo
Che ti stringe stringe
Ma che brava !
Hai pensato a tutto te
Sei sicura
Vuole questo Chiara ?
Sono streghe
Quelle cose piccole
E cattive
Che ti fanno
Ridere…

Nel frattempo, un ragazzo dall’aspetto trasandato, con i capelli un po’ lunghi e la giacca sgualcita, si avvicina al cancello del Parco. I suoi passi sono lenti, come se ogni movimento fosse condizionato dal peso di una lunga assenza, ma c’è qualcosa nei suoi occhi che non lascia spazio a dubbi. Quando il suo volto emerge dalla penombra, un’ondata di ricordi travolge Luca, e il suo cuore accelera.

“No, non può essere lui… Non è possibile,” “Se Chiara lo vede, tornerà sicuramente da lui. Non può farlo. Non adesso. Non ancora… non deve cedere, non questa volta.”

Lo osserva mentre varca il cancello e avanza verso il centro del parco. I pensieri si accavallano nella mente di Luca, un turbinio di domande senza risposta. “Ma cosa ci fa qui? E come mai è tornato? Non aveva detto che si era trasferito in un’altra città?” Il volto di Andrea, con quel sorriso ambiguo che tanto gli era familiare, è un’ombra di un passato che Luca sperava di avere sepolto. Ma Andrea non è tornato per Chiara, non stavolta.

Con uno scatto di curiosità mista a preoccupazione, Luca lo segue con gli occhi, cercando di capire quale sia la sua intenzione. Andrea si dirige dritto verso di lui, e il battito del cuore di Luca aumenta di colpo. “Cosa sta cercando di fare?” 

I due si incontrano, e subito un sorriso riconoscente si dipinge sui volti di entrambi. Sono amici da sempre, compagni d’infanzia, e il tempo che li ha separati non è riuscito a cancellare la familiarità del loro legame. Si abbracciano, e cominciano a parlare, come se nulla fosse cambiato. Le parole si susseguono, leggere come il vento, mentre Luca gli racconta delle ultime novità riguardo al parco e alla sua vita. Ma poi, senza preavviso, la conversazione si sposta su un tema più delicato, e Luca si apre a Andrea con una sincerità che solo lui può capire.

“Non so più cosa fare, Andrea,” dice, il tono della sua voce grave, come se ogni parola fosse un peso insostenibile. “Ho paura. Paura di trascinare Sara in questo vortice… Non posso darle ciò di cui ha bisogno, non posso darle l’amore che merita.”

Andrea lo ascolta, il volto serio, senza interrompere, ma il suo sguardo tradisce una certa preoccupazione. Luca prosegue, rivelando una fragilità che raramente aveva mostrato a chiunque.

“Temo che potrebbe abbandonare gli studi, che possa sacrificare se stessa per starmi accanto. E io… io non posso permetterglielo. Non voglio che finisca come me. Non voglio che anche lei sprofondi nell’oblio in cui sto cadendo.”

C’è una pausa. Un momento di silenzio, denso, che sembra annunciare il peggio. Andrea osserva il suo amico, e in quell’istante, qualcosa di invisibile scivola tra di loro. Con un gesto furtivo, quasi impercettibile, Andrea estrae dalla tasca una piccola bustina di plastica, e la passa a Luca. La polvere bianca all’interno sembra brillante sotto la luce fioca del parco.

“Non ti preoccupare, Luca. Tutto svanirà. E tutto sarà più facile,” dice, la voce bassa, ma la sua risata ha qualcosa di vuoto, di minaccioso.

Luca non risponde immediatamente. L’aria è pesante, come se la notte stessa si fosse fatta più scura, più densa, come se anche il cielo stesse trattenendo il fiato.

“Che bastardoooo!”

“Non è possibile… Luca non lo farà… non può farlo…”

Ma a volte, la disperazione è così potente da cancellare ogni altra certezza, ogni voce della ragione. 

La notte cala. Luca ha appena salutato Sara, lasciandola con mille dubbi sospesi nell’aria. Il suo cuore è un groviglio di emozioni contraddittorie. In preda alla confusione, si ritrova a vagare da solo in un vecchio locale, dove la solitudine e l’alcol si mescolano in un abbraccio gelido. Rientrando al parco, la frustrazione lo assale, e si ferma su una panchina, il respiro affannoso, la testa che gira. Con un movimento lento, quasi meccanico, estrae una siringa.

“Nooo, Luca! Perché lo stai facendo?!” è l’urlo che rimbomba nella testa di chi lo osserva da lontano. Ma è troppo tardi. Luca è già lì, immobile, disteso sulla panchina come se fosse solo, come se non ci fosse nessuno.

Solo.

Solo come non lo è mai stato prima.

Solo, ma con una nuova, fottuta amicizia che lo avvolge, lo consuma, lo domina.

La droga gli parla. Inizia a tormentarlo con sogni stranissimi, ma incredibilmente reali. La polvere lo ricopre come neve, fredda e ingannevole, avvertendolo del pericolo imminente, pronta a inghiottirlo completamente. Lui la sente, la vede, la vive. Eppure, non può fermarsi. Non ora.

NEVE

Sono neve gelida
Sono fredda e bianca
In silenzio copro te
E la tua vita stanca
Sono neve atomica
Sono buona da mangiare
Sono pura e cara
Sono il tuo dolore
Ma non vedi che non vivi senza me
Ci hai provato mille volte ma non c’è
Via d’uscita – stai con me !
Dimmi che bello è – che bello è
Faccio quel che voglio ormai
Siete tutti quanti miei
E’ proprio bello è – è incredibile
Tutti in fila indiana qua
Ad aspettare chi per primo morirà
Stai attento nevica
Sul tuo cuore debole
So gelare l’anima
Piano piano e tu
Sei così stupido da amare me
Sono droga, amico
Quella neve che vedi te
Non è solo un gioco
Ma non vedi che non vivi senza me
Ci hai provato mille volte ma non c’è
Via d’uscita – stai con me !
Dimmi che bello è – che bello è
Faccio quel che voglio ormai
Mangio e sputo su di voi
E’ proprio bello è – è incredibile
Tutti in fila indiana qua
Ad aspettare chi per primo morirà.

Anche l’estate sta finendo, lentamente, come un quadro che perde la sua intensità di colore. Il cielo, che fino a poco tempo fa sembrava un angolo di infinito azzurro, ora si fa più grigio e il caldo si stempera in un’aria che sa di stanchezza, di fine. I toni caldi delle giornate, un tempo così vibranti, ora si spegnono poco a poco, come se la stagione stessa stesse esaurendo la sua energia. Ma non sono solo i colori a svanire. Anche altro si sta dissolvendo, più in silenzio, ma con una certezza inquietante.

Luca è cambiato. E non è un cambiamento che riguarda solo il suo aspetto, ormai visibilmente trasandato, o il suo comportamento, che è diventato sempre più sfuggente, e a volte persino ostile, con chi gli sta vicino, Sara in primis. Ma lei, povera Sara, fa finta di niente. Si rifiuta di vedere la realtà, di accettarla. La sua mente, forse, rifiuta anche solo l’idea che ciò che teme da tempo stia davvero accadendo.

Tutti al parco sanno, ormai. La voce è corsa, e Luca è il centro di un pettegolezzo che non lascia scampo. Si fa di eroina. Ma Sara fa finta di non sapere. Oppure, forse, non vuole arrendersi all’evidenza. Non vuole credere che il suo amore stia scomparendo sotto i suoi occhi, che stia lentamente abbandonandola, immergendosi in un abisso dal quale non c’è ritorno. Era tutto perfetto, prima, pensava. Non poteva essere davvero finita. Ma la verità è implacabile. L’amore che c’era non esiste più. E quello che resta non è amore. Non lo è più.

Una leggera brezza agita le pagine di un giornale che svolazza sull’erba. Il rumore della carta si mescola al fruscio delle foglie. È una sensazione di fine, di qualcosa che sta svanendo. La pagina si ferma e, tra le righe, una notizia attira l’attenzione.

“Oh mio Dio… avete letto?”

Luca non c’è più. Il corpo di un ragazzo di venticinque anni è stato trovato senza vita nei pressi della Stazione Centrale di Milano. La causa della morte sembra essere un’overdose. I medici ipotizzano un suicidio, ma per Sara non c’è bisogno di spiegazioni. Lei lo sapeva già. Aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato. Lo sentiva nel profondo, anche se non voleva ammetterlo. Si era aggrappata a ogni possibile speranza, a ogni piccolo gesto che potesse allontanare quella realtà che la tormentava, ma adesso non poteva più ignorarla.

La gente cerca di consolarla, la circonda con parole che si perdono nell’aria. Ma è inutile. Non c’è consolazione possibile. Niente può lenire il vuoto che si è spalancato dentro di lei. La realtà è troppo crudele, troppo definitiva. E forse, più che la morte di Luca, è la consapevolezza che Sara non sarebbe mai riuscita a salvarlo che la fa sentire più persa che mai. Perché lei aveva lottato. Aveva fatto tutto ciò che era nelle sue forze, si era battuta contro la polvere dell’ipocrisia, tentando di riportare a galla l’amore che li univa. Ma la verità è che nessuno può salvare chi non vuole essere salvato.

Quel giorno, proprio come ogni giorno prima di quel terribile annuncio, Sara aveva appeso al cancello del parco la collanina che Luca le aveva regalato. Lì, sotto la pioggia che scendeva fitta, lo aveva aspettato. Nonostante tutto, lo aspettava ancora. Ma Luca non era più arrivato. Non c’era più. Era sparito, come una nuvola che si dissolve nell’aria, senza lasciare traccia.

E così, un po’ alla volta, anche i ricordi si dissolvono. Quelli che li legavano si fanno sempre più evanescenti, sfumano nel nulla, come ombre troppo leggere per essere afferrate. Il parco, quel luogo che aveva visto la nascita del loro amore, ora è solo un vuoto, il simbolo di un amore che è stato, ma non è più. E Sara, più che mai, è sola.

LUCA

Luca se n’è andato via
Come la pioggia su questa strada
Luca ha detto “E’ colpa mia”
E mi ha lasciato qui.
“Tu vivi, tu sogna
Tu ridi, sei bella
Tu cresci, tu cambia
Tu sì che…”
Luca se n’è andato via
Sopra quel treno che non ritorna
Ma la tua vita è anche mia
Ci sono sopra anch’io
E non ho scelta io
“No tu vola, respira
Sei la mia bambina
Tu lasciami affondare
Via da te”
Luca se n’è andato via
Luca se n’è andato via
Luca se n’è andato via
Non posso … è solo colpa mia.
(Stai qui, non mi lasciare
Stai qui non dissolverti…)

“Ragazze, andiamo via di qui, è troppo triste,” il tono carico di un disagio che sembrava irradiare dal suo corpo, come se il parco stesso fosse diventato troppo pesante da sopportare. Le foglie degli alberi, un tempo verdi e vivaci, ora si piegano sotto il peso di un autunno che sembra troppo precoce, troppo grigio per essere accettato.

“Ma come si fa a distruggere così la vita di un amico… come si fa a sfasciare, in un attimo, l’amore che due ragazzi si sono costruiti con tanta speranza?” la voce piena di incredulità e rabbia. “È il solito destino crudele che prende e se ne va con ciò che avrebbe dovuto restare intatto, che avrebbe dovuto vivere per sempre. È ingiusto…”

Le parole si persero nell’aria grigia, e mentre le ragazze si allontanano, il parco sembrava svuotarsi di significato, come se anche gli alberi, le panchine, e il terreno stesso avessero assorbito la tristezza che aleggiava. Ma lo sguardo delle ragazze fu catturato da un altro movimento, una presenza che fece interrompere il loro passo.

Da lontano, sull’altalena, scorgono una ragazza e un ragazzo che ridono, si sorridono come se il mondo intorno a loro non fosse altro che una cornice a una scena perfetta. Le loro voci si mescolano con il vento, e sembrano così leggeri, così felici, che in quel momento tutto il resto sembra scomparire.

“Ehi, ma è Chiara! Guarda come è cambiata… Com’è diventata… bellissima!” 

Chiara, ora, cammina tra la gente con una sicurezza che prima non aveva mai avuto. Non tiene più la testa bassa, non si nasconde dietro capelli e ombre, ma solleva gli occhi al cielo, guardando le nuvole con uno sguardo fiero, come se finalmente avesse trovato il suo posto nel mondo. I suoi occhi non sono più sfuggenti, ma penetranti, pieni di una luce nuova che sembra quasi sfidare tutto ciò che prima le era sembrato una prigione.

Cammina tra la folla, ma non la sente. Non la teme. La gente la guarda, qualcuno con disapprovazione, altri la criticano con occhi pieni di giudizio per i suoi vestiti stravaganti, per le treccine che incorniciano il suo volto. Ma Chiara, ormai, non se ne importa più. Non le interessa se qualcuno si scandalizza, se qualcuno la vede come una pecora nera. Chiara ha imparato a convivere con il suo modo di essere, con le sue “streghe cattive” che la inseguono nei pensieri, ma che non hanno più il potere di spaventarla. Ha capito, finalmente, che non importa quanto la gente cerchi di renderla diversa o di definirla per quello che non è. L’unica cosa che conta è che lei non si senta mai più diversa da sé stessa.

In questo nuovo cammino, Chiara ha smesso di cercare conferme all’esterno. Il suo sorriso è diventato un simbolo di ribellione silenziosa contro tutto ciò che l’ha definita, contro le etichette che le sono state appiccicate. “Non voglio più distruggermi per amore, non voglio più amare per niente, non voglio più sognare per poi soffrire,” pensava, mentre una risata liberatoria le scivolava dalle labbra. La Chiara che c’era prima, quella insicura e fragile, ora sembra solo un ricordo lontano, una versione di sé che non la riguarda più.

Lei ha le sue idee. Ha i suoi sogni, che non appartengono a nessun altro. Le sue stranezze sono la sua forza, perché sono le uniche cose che la definiscono veramente. Non c’è niente di più bello di essere sé stessi, di non chiedere permessi per esistere.

Chiara è speciale.

E presto lo scoprirà, con una consapevolezza che crescerà dentro di lei, come un seme che germoglia sotto il terreno di un vecchio giardino. Scoprirà che il mondo non è fatto solo di conformità, di giudizi, ma che può anche essere una tela bianca, pronta a essere dipinta con i colori della sua verità.

Chiara è Usherette. E in quel nome, nella sua unicità, troverà la forza per andare oltre, per trasformarsi in qualcosa che non aveva mai osato immaginare.

USHERETTE

E mi trucco apposta io
Per non esser come te
La tua classe non ce l’ho
E mi vesto come
Usherette
Guarda quella dove va
Guarda quella cosa fa
E’ il degrado, è la follia
Della nostra società
E bla bla bla
Più sparli e più volo in aria
Più su e ancora più su
La tua faccia non la vedo più
Usherette è un angelo ormai
Chiuso dentro il mondo
Ma ogni tanto vola
Usherette è quello che sei
Quella parte contro
Sta con la testa in aria
Usherette
Che capelli mamma mia
Se lei fosse figlia mia
Io la riempirei di schiaffi
E torna poi sulla retta via
Usherette
Guarda quella con chi va
Guarda quella a chi la dà
Siamo gente a posto noi
Lei ci inquina la città
Usherette è un angelo ormai
Chiuso dentro il mondo
Sta quasi sempre sola
Usherette è quello che sei
Con i piedi in fondo
Ma con la testa in aria
Usherette

“È incredibile il cambiamento che ha fatto… tutti dovremmo essere un po’ come lei. Sicuramente riusciremmo a vivere meglio la nostra vita, a capire meglio cosa vuol dire essere davvero liberi,” disse una delle ragazze, ancora incredula di fronte alla metamorfosi di Chiara. Le parole le uscirono quasi come un respiro, come se un pensiero profondo, un desiderio nascosto, fosse emerso senza preavviso.

Un altro silenzio calò sul gruppo, rotto solo dal fruscio del vento che accarezzava l’erba ormai ingiallita. La scena davanti a loro sembrava sospesa nel tempo, come un dipinto che si stesse lentamente dissolvendo. Poi Camilla si fece avanti, alzando lo sguardo verso il cancello che si stagliava davanti a loro, ancora familiare ma allo stesso tempo estraneo.

“Ehi, guardate… siamo tornate al cancello verde. Forse è davvero giunto il momento di concludere questa storia… e tornare a casa.”

Con quelle parole, il senso di un tempo che scivola via divenne palpabile. Senza dire una parola, le tre ragazze varcarono il cancello, e in un battito di ciglia, tutto il resto scomparve. Lo splendido Parco, con i suoi alberi che sembravano danzare sotto il cielo, la sua luce magica che le aveva avvolte per ore, svanì come un sogno che si dissolve al mattino. Al suo posto, si materializzò la solita vista dei palazzi grigi, diroccati e ormai abbandonati, al cui sfondo si allungavano le nuvole pesanti e minacciose di una realtà che non perdona.

11 aprile 2019 – ore 14.28

“Certamente la nostra realtà è molto diversa… non ho mai conosciuto persone così. Loro sì che sanno cosa vuol dire vivere veramente,” mormorò una delle ragazze, pensando ancora a Chiara e alla sua trasformazione.

“Ma che ore saranno???” Alice intervenne, guardando l’orologio, ormai in preda al panico. “Siamo sparite per un sacco di tempo… a casa saranno tutti preoccupati! Dobbiamo correre a prendere il tram, subito!”

In quel momento, la vecchia signora, che era rimasta in disparte, si riavvicinò al gruppo. La sua figura si stagliava contro l’orizzonte grigio, come una presenza che non aveva mai veramente lasciato il parco.

“Non vi preoccupate,” disse con voce calma e rassicurante. “Sono passati solo pochi minuti, guardate i vostri orologi!”

Le ragazze si guardarono a vicenda, increduli, ma quando finalmente scrutarono il tempo, si resero conto che le lancette non si erano mosse. Era davvero passato così poco.

“Ma non è possibile!” esclamò Chiara, la voce tremante.

“Tutto è possibile, mie care ragazze,” rispose la signora con un sorriso misterioso, come se sapesse qualcosa che loro non potevano comprendere. “E l’avete visto con i vostri occhi, no? Le persone cambiano, i luoghi si trasformano. La realtà stessa può essere plasmata, e può distruggersi in un attimo.”

“Signora, ma come è potuto accadere? Come è possibile che tutto sia scomparso e ricomparso in un attimo?”

La signora annuì lentamente, come se la domanda fosse la chiave per comprendere ciò che stava per rivelare.

“Lo so… questa è la fantasia che diventa realtà,” disse con una leggerezza che sembrava contrastare la gravità della situazione. “Vivo qui, in questo posto così triste e abbandonato, tra queste rovine, immerso in una nebbia che sembra non voler mai svanire. Ma ogni volta che guardo verso il cielo, beh… rivedo quei bellissimi alberi verdi che parlano, e quella luce… quella magia che avvolge tutto.”

Le sue parole si diffondevano nell’aria con la calma di un ricordo che sa di perduto, ma che non riesce a svanire. “Riesco ancora a sentire tutte le risate, tutte le voci, e il calore del sole gigante che copre ogni cosa, che rende tutto più lieve. E dimentico completamente la guerra, la desolazione, la tristezza che ci sono attorno. Sapete… oltre quei rami… c’è una stella. Una stella sospesa nel cielo, luminosa e potente. Su quella stella, io e Luca ci incontriamo ogni notte. E la nostra storia ricomincia. Tutto ritorna come prima.”

Le ragazze si scambiarono uno sguardo di incredulità.

“Ma… ma allora… lei, signora, è… è davvero Sara? È davvero lei?”

La signora sorrise ancora, questa volta in modo più sereno, come se una verità segreta fosse finalmente emersa. Poi, con uno sguardo che sembrava rivolto a un cielo lontano, al di là di tutto, fece un passo indietro, salutandole senza dire una parola di più.

Le ragazze la guardarono mentre si allontanava, il suo volto ormai per metà nascosto dalla luce morbida del pomeriggio. Non avrebbero mai dimenticato quel momento, quel piccolo incontro che li aveva cambiati senza che nessuna parola fosse davvero necessaria.

E mentre la signora continuava a camminare, il suo sguardo fisso verso il cielo, le ragazze si fermarono, come se il mondo intero si fosse fermato insieme a loro, per un attimo eterno, per un respiro senza fine.

GUARDA IN SU

Quando guardo in su mi sembra ancora
Di sentirti qui con me
E mi dicevi “Non aver paura
Di restare senza me
Conta tre stelle a destra dalla luna
Sarò sempre là”
Quando mi sfioravi succedeva
Un non so chè di magico
E mi dicevi “Non aver paura
Se io un giorno me ne andrò
Conta tre stelle a destra e parla con me”
Quando guardo in su mi sembra ancora
Di sentirti qui con me
Guarda me quando vuoi piangere
Guardami ogni volta che ti va di ridere
Guardami se un giorno poi
E’ tutto difficile
E sembra che anche il cuore ormai
Smetta di battere
Guarda in su e non pensare
Di scordarti così di me”
Quando guardo in su mi sento strana
E’ come se non fossi qui
In fondo non è poi così lontana
Quella stella lì
E’ solo tre stelle a destra dentro di me
E quando guardo in su mi sembra ancora
Di sentirmi lì con te.
Adesso guardo in su e mi sembra ancora
Di sentirti qui
Con me.

Se ti senti solo, se un giorno ti ritrovi senza nulla da fare, senza una direzione, senza nemmeno la forza di inventarti una scusa per uscire, entra nel Parco dei Sogni. Non c’è un indirizzo preciso, non una mappa che ti possa condurre, ma fidati: lo troverai. È un parco che esiste fuori da ogni tempo, fuori da ogni dimensione. Non ha confini, non ha limiti fisici, e può apparire ovunque, anche nei luoghi più improbabili, nei momenti che non ti aspetti.

Sul cancello, che di solito non ha parole né segnali, non troverai mai un nome, nessuna indicazione. Solo una sottile promessa, che si cela nell’aria e nel silenzio che precede il passo. Il cancello è sempre aperto, ma nessuno ti obbliga a entrare. Eppure, se ci penserai abbastanza, saprai che è il posto giusto.

Dentro, il parco è un caleidoscopio di storie che si intrecciano. Camminano decine di “Luca”, “Andrea”, ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno portatore di un frammento di quel dolore silenzioso che ci rende tutti umani. Tra i sentieri si incrociano anche “Sara”, “Gloria” e “Sonia”, giovani voci che si mescolano in un mormorio continuo, parole sussurrate che cercano di dare un senso al caos.

Se ti fermi un attimo e ascolti davvero, ti accorgerai che non sono solo i loro volti a essere familiari, ma le emozioni che trasmettono. La solitudine, la speranza, la paura, la ricerca di qualcosa che dia un senso al vivere. E se guardi più attentamente, potresti scorgere anche “Chiara”, che cammina da sola, ma con un passo sicuro, il viso illuminato da una luce che solo chi ha trovato se stesso può avere.

Non è solo un parco. È il riflesso di una generazione che si racconta, di sogni mai realizzati e di sogni che stanno ancora cercando di spiccare il volo. Qui, tra l’erba alta e le panchine consumate dal tempo, sentirai voci che ti appartengono, anche se non le conosci. Voci che si confondono e si intrecciano, come un eco che arriva da lontano, e che ti farà sentire, per un momento, parte di qualcosa che va oltre la solitudine e la disconnessione del mondo che ci circonda.

In quel parco, ti renderai conto che ogni incontro, ogni passo, è una traccia lasciata da chi è venuto prima, e una promessa per chi verrà dopo. Un luogo che, nonostante tutto, riesce a mantenere intatta la sua magia. Perché, in fondo, è proprio lì che risiede il segreto del Parco dei Sogni: non si trova mai per caso.

Fine!?


Vuoi sapere come continua questa storia? Ecco qui: Ritorno al Parco dei Sogni


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Una replica a “Il Parco dei Sogni”

  1. […] PS: se siete curiosi di conoscere come la storia è iniziata potete leggere qui. […]

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