Uragani e Farfalle

Il vento soffiava piano, come un respiro stanco che attraversava la riva. L’aria era densa di umidità e salsedine, e il mare si confondeva con la nebbia in un’unica distesa grigia, infinita. Tre figure avanzavano lungo la battigia, i loro contorni incerti, come se potessero svanire da un momento all’altro.

Non parlavano. Non serviva. Il suono dei passi affondati nella sabbia e il fragore sommesso delle onde erano gli unici rumori rimasti. Camminavano da ore, o forse da giorni. Il tempo non aveva più senso.

Dietro di loro, la città era ormai solo un’ombra lontana, un cumulo di rovine e silenzio. Le strade, una volta piene di vita, ora giacevano immerse nella polvere, spezzate, dimenticate. Nessuno sapeva con certezza cosa fosse successo. Un giorno il sole aveva smesso di sorgere limpido, inghiottito da una foschia sempre più densa, e la terra stessa aveva iniziato a mutare. La sabbia, un tempo dorata, era diventata rossa, come se avesse assorbito il sangue di un mondo morente.

“Forse dall’altra parte troveremo qualcosa,” sussurrò una voce.

Era la più giovane del gruppo, una ragazza dagli occhi scavati, che stringeva tra le mani un vecchio fazzoletto logoro. Aveva smesso di chiedere dove stessero andando; ormai anche la speranza era diventata un’idea lontana.

L’uomo che guidava il piccolo gruppo si fermò un istante, scrutando l’orizzonte invisibile davanti a loro. Aveva il volto segnato, rughe profonde come solchi lasciati da troppe tempeste. Si passò una mano sulla bocca, come se volesse cancellare parole mai dette, poi riprese a camminare.

Dietro di lui, la terza figura – un bambino, avvolto in un cappotto troppo grande – avanzava in silenzio, aggrappandosi alla mano della ragazza.

Dove stavano andando? Non lo sapevano più nemmeno loro. Forse cercavano una fine, o forse una nuova possibilità.

Ma la nebbia si faceva più spessa, il mare più lontano, e il mondo attorno a loro sembrava dissolversi sempre di più.

Fino a quando rimasero solo le onde.